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Federico Pagnotti 2022
LAGUNANDO 2022 > selezionati 2022
Sono cresciuto a Sorrento, città meravigliosa ricca di stimoli culturali.
Adesso da pensionato ho più tempo da dedicare alla mia grande passione della scrittura creativa: racconti brevi e favole per bambini.
Nel 2019 ho partecipato al Concorso Lagunando.

Già presente edizioni:
2019

ORTI DEI DOGI
RACCONTI
L A    T E L E F O N A T A             

                                                       

UNO

Aveva appena portato all’orecchio la cornetta del telefono, senza avere avuto il tempo di pronunciare il fatidico “pronto”, che fu investito da un fiume in piena, vorticoso, irruento, inarrestabile: “Riccardo, Tino è morto!” – “Come…?” – “Si, Riccardo, è morto...morto...morto, se n’è andato...” E qui la voce fu rotta da un singhiozzo, per poi riprendere subito: “…se n’è andato senza una parola, così di colpo, proprio come diceva che gli sarebbe piaciuto morire.  Infarto, senza soffrire e senza creare intorno a sé sofferenza e rassegnazione. Capisci, Riccardo, lui così voleva morire, senza vedersi contornato  da facce di circostanza, senza infliggere la tortura della sopportazione di lunghe noiose malattie. Lui che era vissuto con gioia esplosiva ha ottenuto di morire con la deflagrazione del cuore. Oh Riccardo, Riccardo, sono due giorni che lo abbiamo sepolto e sono due giorni che ti cerco disperatamente. Ma dov’eri, Riccardo?” -  Cercò di recuperare la parola e provò ad inserirsi in quel torrente tumultuoso  di parole e di dolore: “Ascolt….” – “No” – L’interruppe perentoria. – “No, ti prego, non dire niente. So bene che se tu avessi saputo mi avresti cercata, mi avresti raggiunta, mi avresti consolata….come sai fare tu, amore mio. O forse no. Forse la tua incredibile sensibilità te lo avrebbe impedito.  No, no, hai ragione; forse è meglio così. Avresti sofferto inutilmente, per un naturale conflitto interno che ti avrebbe dilaniato. Sono contenta di avere sofferto da sola. E poi non ero sola, il tuo pensiero non mi ha abbandonata un attimo, ti ho sentito vicino vicino, come sempre e più di sempre; oh amore, mi hai fatto una compagnia incredibile, mi sei stato di tanto conforto.”  Adesso delirava, approfittò di una pausa dovuta ad un nuovo scoppio di singhiozzi per cercare di intervenire, ma un attimo di esitazione gli fece perdere il momento giusto. Lei riprese con  quella  sua  voce  passionale,  resa  ancora  più  calda dall’emozione. “Capisci, Tino è morto. Adesso sono vedova. Vedova? Mi vengono i brividi solo a pensarla questa parola. Lui non è più qui; non avremo bisogno di ricorrere ai mille sotterfugi, alle scuse più incredibili per vederci e stare insieme, capisci Riccardo, adesso il mondo è tutto nostro”.
E così dicendo scoppiò in un pianto dirotto ed irrefrenabile. Era perplesso e stupito, non riusciva a dire nulla, aveva la testa frastornata e la saliva azzerata. Eppure non riusciva a staccare la cornetta dall’orecchio. -  “Caro, caro, caro Tino” – disse lei rompendo quello strano silenzio. – “L’ho ricomposto io con le mie mani, l’ho lavato, pettinato. Poi gli ho infilato il pigiama di seta a righe rosse e grigie. Ricordi, Riccardo, quello che piaceva tanto a te e che indossavi sempre quando lui era in trasferta per il suo lavoro.  Ah, ah, ah,  che risate  che ci siamo fatti la prima volta: ti andava un po’ grande e le tue mani non uscivano fuori dalle maniche. Poi, con un gesto pomposo da prestigiatore ‘voilà’, le tirasti fuori dicendo ‘le mie mani appartengono al tuo corpo’ e cominciasti  a carezzarmi come sai fare solo tu, facendole risalire sapientemente lungo i fianchi, sui seni e io….” – A questo punto la voce che era diventata d’improvviso roca, sensuale, ruppe in un gemito di piacere, al ricordo di quello che stava dicendo. Cercò ancora una volta di intervenire, ma inutilmente. –“Lo so” – riprese con voce di nuovo addolorata – “Lo so, adesso tu penserai che io sono cinica e perversa. No, non lo penserai, scusami se ho detto questo, tu di me pensi sempre ch’io sia la donna più incredibile e meravigliosa del mondo perché mi ami con tutte le tue forze, come io amo te.”
Era lì, con il telefono in mano ad ascoltare quel torrente di parole condite di dolore, passione, gioia, sofferenza, sentimenti che si alternavano in un turbinio incredibile, impedendogli letteralmente di entrare nel discorso, quando sua moglie entrò nello studio e gli chiese: “Giorgio, hai una strana faccia, con chi stai parlando?” – “Oh, niente” – rispose – “è una che ha sbagliato numero!”

DUE

La posizione non era quella giusta.  Aveva sempre pensato che un pigiama largo fosse più comodo: ora se lo trovava tutto arrotolato che gli tirava addirittura sotto le ascelle. Rigirò il cuscino per l’ennesima volta, finché Emma disse: “Non dormi? Ti stai agitando e rivoltando come un balenottero”. “Scusa” – disse semplicemente. Poi si alzò e andò in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Che cos’era che gli metteva tanta agitazione? Era inutile chiederselo: da due giorni, da quella strana telefonata, qualcosa gli girava nella testa.
Al momento la cosa gli era sembrata solo molto particolare. Poi aveva raccontato tutto ad Emma e insieme ci avevano anche riso sopra, salvo poi a vergognarsene considerando il fondo di sofferenza che ne emergeva.  Ma c’era qualcosa legato a quella strana telefonata che lo agitava, qualcosa che non riusciva a focalizzare.
Decise di non pensarci più, guardò l’orologio che segnava le sei e trenta, fece una lunga doccia, poi preparò il caffè e lo portò anche ad Emma. Lui stesso ne bevve due tazzine di fila.
Arrivò presto in ufficio. “Che hai”? – gli chiese Fantoni. “Che cos’ho”? – rispose lui di rimando. “Hai un’aria svagata, insolitamente distratta”.
“Niente, ho dormito poco. Tutto qui”.
Poteva mentire al collega, ma non a se stesso. Quella voce sensuale, quella forza passionale, tutto gli era rimasto dentro e alimentava in lui curiosità e desiderio.
“E’ solo una sconosciuta e da come parlava sicuramente un po’ pazza, magari è  vecchia e brutta” – si diceva nel vano tentativo di scrollare dalla mente quel pensiero ossessivo. Ma non funzionava.
Accese il pc e cliccò sull’icona APPUNTAMENTI
“Ecco!... – si disse . “Ecco……”  E finalmente riuscì a ricostruire su cosa stava lavorando il suo subconscio e nella sua testa ricomparve l’eco di quella voce dolce e trascinante: “voglio vederti, mercoledì pomeriggio al bar Floris”.
La frase era stata pronunciata alla fine della telefonata, ma al momento non l’aveva ascoltata con attenzione perché stava pensando a come dirle che lui non era Riccardo, ma lei aveva  riattaccato e la cosa era finita lì.
“Oggi è mercoledì” – pensò – “ e il bar Floris  è a una fermata della metro…. ma a cosa vado pensando!”
Si buttò nel lavoro con foga inusitata. Verso le tre si ritrovò per strada, le gambe non obbedivano più alla parte razionale del cervello, andavano da sole.  Venti minuti dopo era seduto al bar Floris, rigirando fra le mani un bicchiere ormai vuoto.  Non si disse in alcun momento “che cazzo ci faccio qui a quest’ora?”
No, ormai era preso. Entrò una signora vestita di nero, grassoccia, carina, trattenne il respiro. “Franco, il solito macchiato” – disse al barman con voce lenta e un po’ chioccia. No, non poteva essere, non con quella voce. Passò ancora mezz’ora. Un’ora. Ma questo non significava niente. Era proiettato in una dimensione senza tempo…..e aspettava una persona di cui non conosceva il volto.
Questa cosa non lo infastidiva. Anzi, gli piaceva da morire. Si sentiva come un adolescente alla prima avventura.
Un tipo “posato”, come si dice, stimato da amici e colleghi, con uno splendido rapporto con Emma. Già, Emma. La sua compagna ormai da dodici anni. Per la prima volta quel pomeriggio si sentì a disagio.
Ma non si mosse. E poi la vide. Capì subito che era lei, non sapeva spiegarsi il perché, ma ne era sicuro.
Si fermò vicino al suo tavolino, guardandosi intorno.
“Non verrà”
“Chi non verrà”?
“La persona che lei aspetta”
“Lei come fa a saperlo? Ah, ho capito, l’ha mandata lui…..”
Gli occhi  si chiusero in due fessure, sembrava una tigre.
“No, non lo conosco”
“E allora come sa che non verrà? Lei è solo uno che ci prova” – disse girandosi per andare via.
“Riccardo non verrà”
Si girò di scatto, la bocca aperta per la sorpresa, ma non disse nulla.
Si avvicinò lentamente e sedette sulla sedia di fronte. Giorgio la guardò a lungo senza parlare: “Dio è bellissima” – pensò – “più bella di qualsiasi pensiero o aspettativa”.
Nessuno dei due parlava. Si guardavano.
Poi Giorgio ruppe questa strana atmosfera: ”Io non parlo perché sono abbagliato, lei non parla perché d’improvviso si sente scarica, priva di forze. Pensava di trovare una spalla amica su cui poter scaricare tutte le tensioni e ricostituire una scorta di energie. Invece ha trovato me”.
“Se è venuto lei vuol dire che lui non verrà più, che non lo vedrò mai più.”
Parlava tranquilla, senza quella passionalità esuberante che aveva manifestato a telefono e senza più quell’aggressività di poc’anzi.
“Chi sei”? – disse passando istintivamente al tu.
“Mi chiamo Giorgio” – disse lui semplicemente
“Io Giovanna”
Non gli chiese null’altro circa la sua presenza al posto di quell’altro.
Forse non le interessa più di tanto, se non si vedevano da tempo, il legame era ormai tiepido… Sperò Giorgio.
Lei lo osservava adesso come lo vedesse per la prima volta.
“Io prendo un caffè” – disse Giorgio
“Io un’acqua tonica”
La mano che prese il bicchiere era ben curata, con le dita lunghe, affusolate.
“Che guardi”?
“La tua mano”
“Sei feticista”?
“No” – sorrise lui divertito – “affascinato”.
“Sono combattuta fra il desiderio di soddisfare la mia curiosità e la voglia di mollare tutto e andare via”
“Riccardo non ti merita, come non ti meritava Tino”
“...come fai?... come... come…?
“Non posso correre il rischio che tu pensi di nuovo che mi abbia mandato Riccardo e, in ogni caso, comunque prima o poi devo dirtelo…”
“Racconta”
Seguì con attenzione tutto il racconto di Giorgio, senza intervenire, senza interrompere.  Poi, alla fine, senza apparentemente tradire alcuna emozione, mantenendo un’espressione fissa e quasi impersonale, si alzò, prese la borsetta dal bracciolo della sedia e andò via. Senza dire una parola.

TRE

E’ notte fonda, Giorgio ancora una volta si rigira nervosamente nel letto. “vorrei proprio sapere cos’hai da un po’ di giorni, se continui così vado a dormire nella camera degli ospiti”.  Emma aveva ragione, doveva recuperare se stesso e anche in fretta.
Un giorno, due giorni, tre giorni, una settimana, sperava che con il passare del tempo si affievolisse quella fissazione, invece il pensiero di quella donna lo torturava sempre di più.
Forse era meglio cambiare aria e si rivolse a Emma: “Il tempo è bello, che ne diresti di andare a passare due/tre giorni alla nostra casa al mare?” – “Mi sembra una buona idea” – replicò Emma – “il lavoro ti sta creando troppe tensioni, e farà bene anche a me staccare un po’. Partiamo questo fine settimana”.
La breve vacanza fece bene a entrambi e Giorgio in cuor suo aveva preso la sua decisione, l’unica giusta e sensata.
Domenica sera, al ritorno, ripresero la vita quotidiana di sempre.
Il pomeriggio del martedì seguente, Giorgio era solo in casa. Squillò il telefono: “Pronto, sono Giovanna”. Il cuore gli balzò in gola. “Già al pronto sapevo che eri tu, la tua voce ormai mi è entrata dentro….”.  
- “Sono  andata sulla memoria del telefono e ho recuperato il numero che avevo fatto...”
“Dove sei”?
“Al bar Floris, naturalmente.”
Avevano poco tempo perché lei doveva  rientrare al lavoro, ma se lo fecero bastare, avevano voglia di stare un po’ insieme. Giorgio le raccontò della breve vacanza e lei del nuovo progetto di architettura industriale che stava seguendo con i colleghi per una grande azienda del nord Europa.
Più a fondo la conosceva e più si chiedeva come Giovanna potesse essere quella stessa persona strana e anche un po’ squilibrata della famosa telefonata.
Così passavano i giorni e sempre più spesso s’incontravano, soprattutto in pausa pranzo, per un’oretta di gradevole conversazione.
Una mattina Giovanna si alzò molto presto, non aveva più voglia di stare ferma con gli occhi aperti a fissare il soffitto. Mise l’acqua a bollire, ci voleva una tisana corroborante. Si avvicinò al balcone che dava sul largo viale, in lontananza l’ampio spiazzo della caserma Aeronautica e, sullo sfondo, le montagne.  Le prime luci dell’alba contrastavano con l’opaca luminescenza dei lampioni.
Era un’immagine che conosceva quella che aveva davanti, ma ogni volta si rinnovava, si rivestiva di colori diversi.  Spense il gas, mise la bustina in infusione e poi andò nello stanzino. Tirò fuori il cavalletto e la valigetta con i pennelli e i colori. Era da tanto che non lo faceva.
Fissò il foglio al supporto, poi scelse i pennelli con molta attenzione e sistemò la vaschetta con l’acqua vicino ai colori.  La tecnica dell’acquerello è molto particolare e le avrebbe consentito di cogliere al meglio il gioco di luci e il rapido cangiamento dei colori nel sorgere dell’alba. Un pensiero le attraversò la mente: era da tanto che non si sentiva così bene e serena.
Più tardi telefonò in azienda per avvisare che non sarebbe andata a lavoro.
In bagno si guardò nello specchio e pensò che non era il caso di perdere tempo con la solita lunga seduta di preparazione: oggi si piaceva così, la pace che sentiva si vedeva anche sui lineamenti più distesi del volto. Un trucco leggero e si sorrise nello specchio, decisamente si piaceva.
A questo punto prese il telefono e chiamo Giorgio in ufficio.
“Buongiorno Giovanna, come stai?”
“Non mi piace disturbarti sul lavoro, ma volevo chiederti se puoi prendere il pomeriggio libero”.
“Dove andiamo?”
La pronta disponibilità dell’amico la fece sorridere.
“C’è una mostra delle opere di Wermeer al Museo Vecchio”
“Ah, la ragazza con l’orecchino di perla” – esclamò Giorgio.
“Lo conosci, allora?”
“Ho letto il libro di Tracy Chevalier”
“Molto bello!”
“Si, l’autrice è stata capace di fondere due immagini apparentemente molto distanti: quella del grande artista e quella della servetta che si eleva a magnifica modella.  Poi, incuriosito, sono andato su internet alla ricerca di tutte le opere di Wermeer”
“Oggi puoi ammirarle da vicino. Alle 15, ok?”
“Ok, ci sarò”
Attraversarono i corridoi e i saloni con studiata lentezza, sostando a lungo dinanzi a ogni quadro. Giovanna faceva rivivere ogni opera con la sua competenza, conosceva ogni dettaglio e lo porgeva con semplicità e grazia. Giorgio si rese conto che il sentimento iniziale si stava trasformando in qualcosa di molto pericoloso: ammirazione.
Dopo la visita alla mostra, Giovanna gli disse: “Accompagnami a casa, devo mostrarti qualcosa”.
Arrivati in via dei Gelsi Giorgio lesse sul citofono: Agatino Bonetti e si ricordò del Tino della telefonata.
La cucina era luminosa e ampia. Giovanna mise sul fuoco il bricco del caffè che emanò un aroma forte e gradevole.
Dopo il rito del caffè, Giovanna si alzò e lo condusse attraverso un corridoio che sbucava in un’ampia sala. L’ambiente era quasi privo di mobili e, vicino al balcone, un cavalletto da pittore e un piccolo tavolino su cui erano poggiati in disordine pennelli, colori, matite… Sulle pareti, in bell’ordine, erano appesi alcuni bellissimi acquerelli.
“Questa si che è una sorpresa!” – esclamò entusiasta.
Giorgio poi rimase lì fermo, senza parlare. A una prima impressione di piacere estetico, ora subentrava una visione di contenuti. L’artista aveva colto la vera essenza della donna africana nella sua naturale quotidianità, con il suo fardello di fatica, orgoglio e dignità.  In particolare, nel dipinto “sguardo d’oriente”, traspariva  uno straordinario contrasto di bellezza, passione e dramma. Non aveva mai visto, né avrebbe potuto immaginare, una rappresentazione più nitida, fedele e commovente della condizione e del sentimento della donna africana.  Quando si girò verso Giovanna aveva gli occhi lucidi e anche lei si commosse della sua commozione.
“Ogni cosa che imparo di te, ti allontana sempre più dall’immagine creata da quella strana prima telefonata.”
“Non sono mai stata quella della telefonata”
“Che vuoi dire?”
“Recitavo”
“Ma Tino era tuo marito, ho visto sulla porta la targa Agatino  Bonetti”
“Era mio padre, io non sono stata mai sposata…”
“Nessun Tino e nessun Riccardo, allora?”
“Si, ci sono stati. Due dei tanti uomini della mia vita”.
“Perché hai scelto proprio me per questa tua follia?”
“Un caso, solo un caso. Ho preso il primo numero che è capitato dall’elenco telefonico…e guarda chi ti vado a beccare!”
“Ma perché? Non capisco”
“Solitudine, voglia di avventura. Ti ho dato un appuntamento e sei venuto, mi pare”
“Già, su questo punto non posso darti torto”.
Stettero a lungo in silenzio, entrambi travolti da quelle rivelazioni e dagli ultimi avvenimenti. Poi Giovanna parlò:
“Devi uscire dalla mia vita”
“Come faccio a uscire da un posto dove non sono mai entrato?”
“Da quando sono venuta fuori da quel bar, nel nostro primo incontro,  non faccio che pensare a te, a quel tuo volto pulito e sereno.
Alle cose che mi hai detto e a quelle che non hai avuto il coraggio di dirmi, ma che ho percepito lo stesso. Ma non può funzionare, mi hai raccontato del tuo bellissimo rapporto con Emma”
Giorgio sorrise, poi cominciò a ridere di gusto. Sempre ridendo si avvicinò a Giovanna e la prese fra le braccia. Lei lo strinse forte e stettero così a lungo.
Fu Giorgio a sciogliere quell’abbraccio, non voleva profanare quel momento magico facendosi trascinare dai sensi.
Lei si fece prendere delicatamente per mano e condurre sul divano, dove sedettero guardandosi in silenzio, la mano ancora nella mano.   
Poi parlarono. Parlarono a lungo, raccontando senza remore ognuno la propria vita, con serenità. Era come se entrambi avessero atteso da tempo la persona giusta con cui aprirsi senza bisogno di approntare difese.
“Mi piace molto” – disse Giorgio, dopo una pausa di silenzio, in quel mare di parole sussurrate a fil di voce da entrambi.
“Cosa?” –
“Hai detto “cosa” con un sorriso dolce e quasi senza punto interrogativo, vuol dire che hai capito”
“Credo di si, vuoi dire che ci stiamo aprendo con una profondità e una complicità che è cosa rara in due persone che si conoscono bene……”
“Figuriamoci in due che si sono appena incontrati” – completò la frase Giorgio.
“Non sai quanto mi ha fatto bene conoscerti, finora per me il rapporto con un uomo era in una sola direzione, tu mi hai aperto a un rapporto di amicizia per me nuovo e straordinariamente appagante, lo porterò dentro come viatico nel mio lungo viaggio”
“Parti?”
“Fra pochi giorni” – riprese Giovanna “ho accettato un lavoro importante per la mia azienda in Argentina”
“Quanto tempo…?”
“Dicono due anni, ma se il progetto funziona anche di più”
Giorgio recepì la notizia con la stessa serenità con cui Giovanna l’aveva rivelata.  Parlarono ancora a lungo come due vecchi amici, poi si alzarono dal divano dirigendosi verso l’ingresso dell’appartamento, Giovanna aprì la porta e Giorgio scivolò via silenzioso e discreto.






























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