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Lorenzo Ratisti 2022
LAGUNANDO 2022 > selezionati 2022
Nato a Firenze, laureato in Scienze Politiche, scrivo racconti brevi dal 2013.
Ho ottenuto importanti riconoscimenti in diversi concorsi letterari ed alcune pubblicazioni in raccolte antologhiche.
Ho un romanzo nel cassetto in lavorazione.

ORTI DEI DOGI
RACCONTI
IL MIO AMICO VENTO




Rossa, diversa da tutte le altre, oggi si trova in grande pericolo.
Il tempo dell’attesa è finito. A nulla è valso provare a farle ragionare, ed ormai le conviene scappare prima che sia troppo tardi.
Non sempre è stato così. I bei ricordi sono molti. Ma quelle che un tempo le erano amiche, adesso sono disposte a catturarla. Il privilegio del dominio ha corrotto un’intera generazione.
E’ inutile cercare una spiegazione, provare a capire da dove sia affiorata la nebbia che in breve tempo ha cancellato la ragionevolezza dagli sguardi e i sorrisi dai volti.
Difficile, a questo punto, trovare una cura. Il terreno è troppo arido e non è più in grado di assorbire alcuna acqua salvifica.

Tutto è iniziato il giorno del terzo compleanno di Rafael.
Come sempre, la famiglia era riunita di buon’ora a fare colazione. Fette biscottate con marmellata per mamma, latte di riso con cereali per babbo, cinque biscotti al cioccolato per Rafael. Quella mattina li mangiava con particolare lentezza, come se stesse cercando di scoprirne l’ingrediente segreto che li rendeva così squisiti. Avendo i minuti contati, Patrick e Susanna, nonostante le vivaci proteste, lo lasciarono da solo sul seggiolone per andare in camera a cambiarsi.
All’improvviso li chiamò: “Babbo, mamma, il mio amico vento”.
Si scambiarono uno sguardo interrogativo.
Nonostante la giornata splendente, e la totale assenza di nuvole, per un istante il sole fu oscurato. Non era un’eclissi, ma l’ombra di un destino indesiderato che, portatrice di cattivi presagi e sfuggente come uno spettro, si era posata sulla città, prosciugandone colori e speranze.
Patrick entrò in cucina e vide che il figlio stava indicando fuori dalla finestra. Di fronte a loro, come sempre, un moderno palazzo di sei piani vegliava solitario su Piazza degli Artigiani.
“Come dici amore?”
“Babbo, il mio amico vento”.
Non capisci?.
Patrick guardò nuovamente fuori e, proprio in quell’istante, un rumore si abbatté sopra di loro, assordante come una mandria di bufali in fuga dall’ attacco di giovani leoni. Abbracciò istintivamente il figlio, sicuro che il soffitto gli sarebbe crollato in testa. Poi vide il tetto del palazzo di fronte sbriciolarsi e volare per aria in mille pezzi, le tegole trasformate nei coriandoli di un grottesco carnevale. Rafael, per niente impaurito, aveva preso in prestito dai suoi futuri anni adolescenziali, quel sorrisetto strafottente ma mai troppo antipatico:
che ti avevo detto?

Il 15 Marzo, alle 7:34, una violentissima tromba d’aria aveva investito la città di Rondine. Il vento aveva toccato punte di 150 km all’ora, abbattendo come fuscelli alberi e pali della luce, e scoperchiando i tetti di molte case come fossero fatti di cartone.  Percorrendo via Angelico Gadda, ci si imbatteva nel muro color giallo ocra della vecchia fabbrica, ormai abbandonata, dei Fratelli Romboli. Le raffiche di vento vi si erano accanite con particolare violenza, scrostandolo in più punti. I frammenti di intonaco caduti avevano lasciato ampie chiazze che lo facevano sembrare una immensa carta geografica, come quella del risiko, con tanti carri armati pronti a darsi battaglia.

Da quel giorno le persone avevano iniziato a sparire.
Patrick si era accorto quasi subito che qualcosa non andava, ed un brutto presentimento aveva iniziato ad accarezzarlo, disgustoso come il muschio di un lugubre sottobosco attraversato da ciechi vermi striscianti.
Ma purtroppo era l’unico. Tutti gli altri sembravano non essersi accorti di niente o forse, e questa era la cosa più inquietante, facevano finta. Si era così chiuso sempre di più in se stesso, non riuscendo a trovare il coraggio di parlarne con nessuno, neppure con la moglie.
Il primo era stato il macellaio. Un signore sulla cinquantina con una vistosa voglia sulla guancia destra, che ogni giorno si faceva più di trenta chilometri per aprire la sua adorata bottega. Una vitaccia, che però a lui non dispiaceva. La seconda, una giovane donna che lavorava da qualche mese nel negozio di giocattoli Sombreros, quello di fronte alla Coop. Un viso sempre sorridente incorniciato da una cascata di riccioli biondi, che le pendevano dalle esili spalle come un girasole dallo stelo. Talmente magra da far pensare che il vento stesso l’avesse fatta volar via quella fatidica mattina. Poi la mamma di Laura, una compagna di asilo di Rafael. Sempre elegante ed impeccabile, anche nelle mattine in cui le occhiaie raccontavano di momenti non troppo felici. Un giorno aveva smesso di accompagnarla. Al suo posto la nonna, il volto scuro ed immobile, come imprigionato in un vecchio ritratto.
In breve tempo tutta la città aveva preso le sembianze di un falò spento, triste perché ormai consapevole che quella sarebbe stata la sua ultima estate.

Quando ormai, agli occhi di Patrick, tutti apparivano come infatuati da un incantesimo che ne imprigionava le passioni sotto l’epidermide con spesse catene, ebbe la fortuna di conoscere l’unica persona che sembrava averle spezzate, lasciando libero sfogo ai colori della propria anima.
Si trattava di un settantenne che, da circa un anno e mezzo, si era trasferito nell’appartamento adiacente al suo. Dopo avergli duplicato le chiavi della cantina, erano passati dal “buongiorno e buonasera”, a chiacchierate più lunghe, magari comodamente seduti sul divano a sorseggiare una tazza di tè, o un bicchiere di buon vino.
Anche a Rafael piaceva molto quel simpatico signore, e sempre più spesso chiedeva di poter rimanere a giocare in sua compagnia.
Amava soprattutto farsi leggere alcuni dei libri che teneva sparpagliati per tutta la cameretta. “La strega Rossella”, “Il Gruffalò”, “Elmer, l’elefante variopinto” erano solo alcuni dei suoi preferiti. Non aveva bisogno di guardarne le illustrazioni perché la voce calda e melodiosa dell’anziano, era in grado di dipingere caleidoscopi di immagini che continuavano ad ondeggiare davanti ai suoi occhi per ore.
Armando, così si chiamava, era a sua volta un lettore appassionato, e tre pareti del suo piccolo studio erano occupate da una bellissima libreria in legno di rovere, realizzata su misura da un artigiano di Ponte a Stella. Una vera e propria opera d’arte, che ospitava centinaia di libri di ogni genere, ordinati con cura maniacale.
Ad un certo punto la confidenza diventò tale che Patrick si fece coraggio ed affrontò l’argomento delle sparizioni. Armando lo ascoltò con molto interesse, la mano sinistra intenta a cercare di scapigliare capelli ancora folti e liscissimi.
I suoi occhi azzurri lo fissarono mostrando di aver compreso.
Lui usciva raramente e non si era accorto di persone scomparse. Tuttavia, aveva “fiutato” qualcosa di strano nell’aria. E quella particolare sensazione aveva avuto inizio proprio dopo la tromba d’aria.
Un sabato mattina, incrociandolo davanti alla cassetta della posta, gli disse frettolosamente che aveva bisogno di parlargli. Non subito però, prima aveva una faccenda urgente da sbrigare. Sarebbe passato nel pomeriggio. Era insolitamente nervoso, e non riusciva a nascondere un leggero tremolio nella voce.
Lo aspettò per tutta la sera ma non passò. Avrebbe voluto suonargli il campanello, ma qualcosa lo tratteneva. Un timore. La paura che, come in un film dell’orrore, avesse scoperto qualcosa e per questo fosse stato assassinato.
Sono un pazzo, cosa vado a pensare?
L’indomani si fermò per qualche secondo davanti a casa sua e, muovendosi piano per non far rumore, appoggiò delicatamente l’orecchio alla porta. Silenzio. Anzi no, un sottilissimo brusio.
Per un istante fu sopraffatto da una sensazione di congelamento in tutto il corpo, come se il cuore avesse iniziato a pompare acqua fredda.
Sembrava che le pagine dei libri parlassero segretamente fra loro, usando una lingua sconosciuta fatta di fruscii.
Tornò a casa e cercò di non pensarci, ma era impossibile. Qualcosa di brutto era successo, ne era certo.
Il prossimo potrei essere io.
Lunedì mattina fece finta di avere un po’ di febbre e non si presentò a lavoro.
Susanna e Rafael uscirono alle otto e cinque. Alle nove e un quarto era davanti  alla casa del vicino, deciso finalmente a suonare il campanello.
Ma ecco che davanti a lui si palesò una perfetta scenetta da teatro dell’assurdo, che non avrebbe sfigurato nel “Rinoceronte” di Ionesco.
Da sotto la porta spuntò una formica rossa diretta con passo deciso verso la rampa delle scale. Poi ne sbucarono altre, tutte nere, anch’esse in marcia nella medesima direzione. Probabilmente stavano rincorrendo la prima. Ad un certo punto, accortesi della sua presenza, rallentarono fino a fermarsi. Lo guardarono negli occhi (ma sono solo formiche …), avanzarono di qualche centimetro verso di lui, titubanti, poi si fermarono di nuovo. Infine, tornarono indietro ripassando sotto la porta. La formica rossa nel frattempo era sparita.
Patrick ruppe gli indugi e suonò il campanello. Una volta, due volte, tre volte.
Nessuno rispose.
Cosa ti aspettavi, che Armando ti aprisse, sorridente, e ti invitasse a prendere un caffè e una brioche con le sue nuove amiche?.
I libri nel frattempo continuavano a confabulare fra loro.
Patrick corse in casa e chiamò la polizia.
Armando era riverso sul divano privo di vita. Nessun segno di scasso o di lotta che potesse far pensare ad una rapina finita male. Probabilmente si era trattato di un malore.
Ma Patrick sapeva che non era così. Il suo vicino di casa aveva scoperto il mistero che si celava dietro le sparizioni, ed era stato ucciso. A questo punto si trovava di fronte ad una scelta, la più importante della sua vita. Indagare più a fondo, nonostante l’estrema pericolosità, o lasciar perdere e, come tutti gli altri, far finta di niente.
La risposta gli arrivò qualche settimana più tardi, quando venne interrogato per la seconda volta. Dall’autopsia era emerso che Armando era morto per soffocamento. Aveva ingoiato una manciata di palline di carta delle dimensioni di grossi chicchi d’uva. Secondo la polizia si era trattato di uno strano modo per suicidarsi. Un anziano signore solo al mondo che soffriva di depressione, aveva deciso di farla finita in maniera alquanto bizzarra per attirare, almeno per qualche giorno, l’attenzione di tutti su di sé.
Patrick decise allora di dire basta ad ogni sospetto, ad ogni dubbio, ad ogni domanda. Altrimenti la prossima volta, le parole sbagliate si sarebbero accumulate nella sua di gola, e lo avrebbero soffocato nel sonno.
Da quel giorno la sua vita prese a scorrere, insieme a tutti gli altri, nel fiume della monotonia, più triste e meno consapevole. La coscienza relegata in un angolino e costantemente tremolante, come la luce sul fondo di una piscina.
Poi un giorno, una voce al telefono lo informò che Armando, nel proprio testamento, aveva lasciato tutti i suoi libri a Rafael.
La coscienza ebbe un ultimo sussulto:
“Il nostro angelo custode …”.

Stasera, dopo aver visto un episodio de “Il girotondo degli avvoltoi”, ho deciso di lasciar perdere la televisione ed iniziare un nuovo libro.
Questo mese non è uscito niente di interessante, perciò ho pensato di sceglierne uno fra quelli che da bambino ho ereditato dall’uomo più buono del mondo.
Ero molto piccolo, ma me lo ricordo ancora, quel suo sorriso sempre acceso e la capacità, probabilmente magica, di accarezzarti con la delicatezza dello sguardo.
Ho optato per un saggio storico, “Dietro le quinte della II Guerra Mondiale”.
Un libro di Jacques Alberiis, autore per me sconosciuto. Quattrocento pagine sicuramente impegnative, ma in questo periodo non ho voglia di cose semplici.
Partenza subito coinvolgente, prosa un po’ troppo romanzata ma indubbiamente accurata nei dettagli storici. Arrivato a pagina trenta ho avvertito un terribile senso di nausea. Mi sono alzato dal divano per andare a prendere un bicchiere d’acqua, e sono quasi caduto per colpa di un capogiro. Il salotto oscillava come un ponte di legno sospeso nel vuoto. Niente da fare, non riuscivo ad andare avanti.
La sensazione era strana, come se dal libro mancassero delle pagine, ma la mente non riuscisse a percepire il punto preciso in cui fossero state strappate. Come se il filo conduttore fosse stato tagliato e riannodato più volte con tale cura da non lasciare alcuna traccia. Come se in fondo, la Germania nazista, non fosse stata quel modello di rettitudine morale che ancora oggi tutti decantano.
Sono andato e letto alle undici e mezzo, prestissimo per me.
Adesso sono le due di notte e non riesco ancora a prender sonno.
La mia vita è bella e spensierata, non faccio fatica ad ammetterlo.
Il lavoro in palestra sta ingranando, e con Federica stiamo pensando di fare il grande passo.
Ma adesso, solo al buio, senza alcun motivo, mi sento improvvisamente schiacciato sotto il peso di una tetra inquietudine.
Allora penso a come sarebbe bello tornare bambino ed avere accanto a me Armando, impegnato a leggermi il libro ad alta voce. Sicuramente la tristezza sparirebbe, e tutto tornerebbe al proprio posto, anche le pagine misteriosamente scomparse.
Basta questo a tranquillizzarmi e, prima di addormentarmi, sento davvero la sua voce suadente, ed una singola lacrima riesce ad infrangere l’argine troppo spesso eretto sulle mie emozioni.
“Il nostro angelo custode”, così lo chiamava talvolta mio padre.
Tutti quei discorsi impossibili da capire per un bambino, ma ricchi di fascino e di mistero.
La storia, per sua natura, si ripete sempre, le cose belle e quelle brutte. Il nastro si riavvolge e qualcuno, nella stanza dei bottoni, preme di nuovo il tasto play. E’ un bene che sia così, DEVE essere così. Perciò a volte, quando gli uomini sono stati così bravi da imparare dai propri errori, può essere necessario nascondere qualcosa sotto il tappeto, affinché il cerchio si chiuda, si ritorni al punto di partenza e tutto ricominci da capo.
Le cose belle e quelle brutte…
Io ero incantato, lo guardavo e sorridevo. Lui allora mi baciava sulla guancia ed io non resistevo al dolce solletico dei suoi baffetti a spazzolino.




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