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Marco Bernardinis 2022
LAGUNANDO 2022 > selezionati 2022
ORTI DEI DOGI
ROMANZI
TERZO PREMIO
ORTI DEI DOGI
-Romanzi-
Attraverso uno stile asciutto e un ritmo serrato il romanzo prende il lettore in modo avvincente dall’inizio alla fine.
Una storia che racconta non solo di personaggi, descritti con apparente naturalezza, ma anche della bellezza della natura non sempre “osservata”.
Un romanzo che si sviluppa tra sogno e realtà, tra incapacità di amare e accettazione del dolore, e che si chiude con un finale sorprendente “l’acero sta crescendo…..e qualche anima  spensierata di dondolerà guardando l’infinito?
Da leggere
Nato a Udine nel 1968.
Amo scrivere, ma soprattutto leggere, viaggiare a piedi, in bicicletta e con la mente.
Con una penna e un quaderno, che tengo sempre sul comodino, ho cominciato a scrivere questa storia durante una notte, dopo essermi destato da un sogno che non sembrava tale da quanto era reale. Prima che evaporasse ho fermato quelle immagini che sarebbero diventate un aneddoto, un racconto di poche pagine. Ma più scrivevo, più la storia si apriva, voleva raccontare ancora altro. I personaggi mi chiedevano di scrivere ancora di loro e così mi sono ritrovato a riempire pagine bianche. Ho percorso con loro un viaggio tra le montagne, dove la bellezza della natura è protagonista. La bellezza che ci circonda e spesso non osserviamo o, dandola per scontata, non la guardiamo. Questo, però, è anche il viaggio nell’io profondo di uno dei protagonisti; il peso di una colpa, l’incapacità d’amare, di non riuscire a dimenticare, di convivere con il dolore. Non riuscire a darsi una seconda possibilità. Potrà il dolore arrendersi all’amore? Potrà una piantina diventare albero su cui appendere un’altalena e dondolandosi guardare l’infinito?


DA QUASSÙ SI VEDE IL MARE

Le persone giungono sempre al momento giusto, nel posto in cui sono attese.
(Paulo Coelho)


Una ruota, libera, corre sull’asfalto.
I fari illuminano i campi.
Continua a correre verso il buio, poi, forse stanca di questo rotolare solitario decide di adagiarsi sul ciglio della strada.

Era ancora estate, ma lassù, a più di duemila metri sopra il livello del mare, quando il sole cominciava a nascondersi, l’aria si faceva fresca e la pelle ancora calda sentiva il bisogno di un riparo.
Il cielo, terso, preannunciava una notte stellata, di quelle che non era possibile vedere in pianura.
Luca stava aspettando il momento giusto fuori da un rifugio alpino che raccoglieva un po’ tutti: arditi alpinisti in cerca di verticalità, adrenalina e se stessi, o comuni cittadini che per una notte sceglievano di vivere un’esperienza montana.
Questi ultimi salivano quasi tutti con il fuoristrada, quello che a pagamento li portava dal parcheggio delle auto, ottocento metri più in basso, fino sulla porta del rifugio. Pochi affrontavano il lusso di una fatica per poi concedersi una meritata birra e un piatto di salumi del posto.
Era arrivato già da alcune ore, dopo una giornata di cammino e quasi duemila metri di dislivello in positivo.
Si era lavato, cambiato e ora con la macchina fotografica in mano aspettava di fermare in uno scatto un tramonto che si preannunciava spettacolare.

Erano le diciannove quando l’ultima corsa frenò le quattro ruote sul piazzale antistante il rifugio.
Li vide scendere.
Solo un paio di loro portava lo zaino sulle spalle, la maggioranza trascinava trolley e reggeva in mano beauty case come se dovessero andare al check-in di un aeroporto.
Sette in tutto.
Intanto una vasca circolare piena d’acqua - tre metri circa di diametro - posta a lato del rifugio, stava ribollendo e trepidando nell’attesa di corpi da anestetizzare.
Mentre li guardava con la curiosità con cui era solito seguire le vicende politiche del paese, un sentimento sincero si faceva largo tra i suoi pensieri.
Li odiava.
Non poteva vedere quel genere di persone. Era una questione di pelle.
Dinnanzi a una natura così bella non si fermarono a contemplarla; le donne che gli passarono accanto stringevano quelle borse con trucchi e creme come fossero le cose più preziose che avessero, mentre continuavano a parlare ancora di cose di laggiù, come se quel cordone ombelicale non si potesse e non si dovesse mai rompere.
Gli uomini invece, vestiti come per una vasca in centro, specchiavano i loro volti nei display di nuovi telefonini per accertarsi che ci fosse campo o almeno la connessione WiFi che gli era stata garantita.
Erano lì solamente per qualcosa di diverso dal solito: rompere la noia con un bagno notturno in una piscina a duemila metri di quota, pagato a suon di euro.

Che potere il denaro!
Era bastato sventolare un po’ di banconote davanti al naso per comprare la dignità di gestori di rifugi, che un tempo, mai avrebbero pensato di fare la spola su e giù per le pendici delle montagne a recuperare turisti con il portafoglio pieno.
Anche la gente di montagna si stava adeguando, in fondo che c’era di male?
Gli aveva detto qualcuno: “Dobbiamo tirare la cinghia tutta la vita e crepare al freddo per il nostro orgoglio? Se dobbiamo morire, facciamolo ingrassando pure noi e per di più facendoci pagare bene da chi i soldi ce li ha.”
Forse non avevano tutti i torti pensava Luca, ma non riusciva ad accettare come si stesse sempre più perdendo il senso profondo che per lui rappresentava la montagna: luogo del silenzio, del ritmo lento, della meditazione e della fatica, che veniva ripagata da una natura che avvolgeva in tutte le sue meravigliose stagioni.

2.

La notte si stava avvicinando e le montagne tutte attorno al rifugio cominciarono a vestirsi di rosa, che ad ogni minuto si faceva più intenso.
Un piccolo lago glaciale, che si riempiva d’acqua fresca con lo scioglimento della neve nella stagione primaverile, rifletteva le punte di queste cime ad alcune decine di metri dalla baita.
Uno steccato di legno piantato per tenere lontano i più piccoli, segnava il confine tra lo spiazzo davanti al rifugio e quel catino liquido. La riva, in quel punto ripida, si infilava nell’acqua subito fonda. Questa sorta di semaforo sempre rosso, tranne appunto per i bambini che, passandoci sotto lo trovavano sempre verde, era composto da due file di assi orizzontali  inchiodate a dei pali tondi piantati nel terreno. La prima a non più di mezzo metro da terra, mentre la seconda, fissata di piatto sulle teste dei pali a poco più di un metro, permetteva di appoggiare i gomiti e guardare quello spettacolo naturale.
Su una di queste assi che componevano quella sorta di muro, Luca decise di appoggiare la sua macchina fotografica: una compatta, regalo di Laura, costata parecchio e che ora valeva ben poco.
Come tutte le cose tecnologiche del resto.

Ci mise un po’ a posizionarla perché la superficie non era perfettamente liscia. Raccolse alcuni sassolini da terra e con il loro ausilio - una volta piazzati sotto il corpo della macchina - trovò la stabilità e l’orizzontalità cercata.
Usava l’autoscatto per queste foto, troppa poca era la luce per lasciare alla sua mano ferma la certezza di una foto non mossa e nitida. Tutto era pronto, mancava poco a quello scatto che avrebbe colto il giusto istante.
Né un momento prima, né uno dopo.
Dal rifugio intanto un vociare confuso e lontano si fece sempre più vivo e netto. Qualcuno aveva deciso di venire a vedere quel tramonto da favola.
Chissà per quanti di questi era la prima volta? Avrebbero potuto partecipare in prima persona a quello che avevano solamente assaporato sfogliando una rivista o guardando uno screen saver al computer.
Il silenzio di poco prima svanì, alzò i tacchi e prese altre strade.
“Sarei dovuto andare da un’altra parte” mormorò mentre pensava a quanto gli piacesse la sola voce del vento a tenergli compagnia...


(continua)
Nella presente antologia è stata riportata solo la presentazione del romanzo.
Per l’Opera completa contattare l’Autore.
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