Ada Antiga
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Sono pensionata da novembre 2024, dopo quasi vent’anni di lavoro come impiegata d’Anagrafe comunale.
Prima di questo impiego stabile, ho svolto molteplici attività – alcune impiegatizie altre inusuali – fra le quali quella di collaboratrice domestica, esperienza confluita in un romanzo.
In questa varietà lavorativa, degna di nota è l’attività artistica: per cinque stagioni sono stata scritturata come attrice nelle compagnie di Teatro per Ragazzi Ortoteatro di Pordenone e L’ Atellana di Venezia. In seguito ho lavorato presso un’emittente radiofonica locale e come speaker pubblicitaria.
Benché non ne vada fiera, segnalo come titolo di studio il Diploma di ragioniera conseguito nel 1976.
Ha già partecipato a:
Il karma delle viziate
-Disavventure di una colf-
Il karma delle viziate – Disavventure di una colf – è il mio primo romanzo e tratta del lavoro che mi ha occupata per svariati anni come donna delle pulizie.
L’idea di scriverne è nata dal desiderio di fissare il ricordo a memoria futura, perciò inizialmente era poco più che una narrazione diaristica. In seguito ho sviluppato e ampliato la stesura, per ottenere una narrazione organica.
Nei capitoli vengono trattate le vicende, spesso bizzarre e a volte catastrofiche, capitate nelle varie abitazioni; non c’è niente come lavorare nelle case altrui per rendersi conto della varietà del genere umano.
L’incontro con altre donne, impegnate nel medesimo lavoro o in altri, diventa terreno di scambio, in chiave ironico-dissacrante, delle tante difficoltà e meschinità da noi incontrate. Perciò ho anche illustrato le peripezie che devono affrontare le persone, e in particolare le donne, quando sono in cerca di lavoro.
Lo sfondo ambientale dei fatti narrati è il Nord-Est, in particolare la città di Conegliano e i suoi dintorni.
Lo stile dell’opera è immediato, discorsivo e qua e là improntato a un sottile humor, anche nel trattare tematiche sociali.
Desidero concludere questa breve presentazione con una citazione tratta da Il libro del tè di Okakura Kakuzō:
“Uno dei requisiti principali di un maestro del tè è la padronanza delle tecniche per spazzare, pulire e lavare, perché anche queste attività costituiscono un’arte.”
Prologo
Dopo il conseguimento del diploma, la mia vita diventò un continuo girare a vuoto, fra code disumane agli sportelli degli Uffici di Collocamento, estenuanti concorsi pubblici, affannosi spostamenti in risposta agli annunci di offerta lavoro, molti dei quali si rivelavano bidoni o vere e proprie truffe. Allora come ora, non mancavano gli specchietti per le allodole e in quegli anni si avevano meno strumenti di adesso per riconoscere le fake news.
Chi era alla ricerca di un lavoro, poteva imbattersi in allettanti proposte di entrare nel mondo dello spettacolo, naturalmente dietro pagamento di laute cifre per fantomatiche pubblicazioni di foto; oppure nella proposta di affiancare bavosi individui nella vendita di gioielli di dubbia provenienza; per non parlare di quei selezionatori che, con la scusa di effettuare dei test attitudinali, mettevano in atto molestie sessuali nei confronti delle candidate.
Era ancora diffuso il lavoro a domicilio, che prometteva buoni guadagni senza muoversi da casa; naturalmente niente a che vedere con lo smart working attuale: in genere si trattava di piccole e ripetitive attività, di cucito o di assemblaggio, quasi sempre svolte da donne.
“Se ti va di mettere insieme le penne a sfera, la BIC dà lavoro a casa!” mi suggerì un’ex compagna di classe; così mi ero messa a scrivere, forse ingenuamente ma non volevo lasciare nulla di intentato. La risposta, della BIC come di altre ditte che mi vennero segnalate, fu negativa; oltretutto, le informazioni che ottenni, anche da donne che avevano provato a lavorare a domicilio, non erano lusinghiere… Quando poi un noto rotocalco televisivo mandò in onda un servizio sull’argomento – che non lasciava spazio a dubbi –, desistetti da ogni ulteriore ricerca.
Un altro buco nell’acqua lo feci con una rivista appartenente al genere femminile.
Le lettrici venivano invitate a mandare brevi storie che, dietro un piccolo compenso, potevano essere inserite in una rubrica del periodico. La lettura di quelle novellette di vita vissuta, scialbe e senza pretese, mi invogliò a tentare. A parte le poesie adolescenziali e una o due favole di poche righe inventate quand’ero bambina, quelle furono le prime cose che scrissi e poi sottoposi al giudizio di qualcuno.
Una volta ricevuto il plico e visionato il lavoro, la redazione lo rispediva, sottolineato in rosso qua e là, insieme alla richiesta di rivederlo o di mandarne un altro. Così feci; nella lettera successiva mi veniva restituito il testo, questa volta senza segni rossi ma con la dicitura “Spiacenti, ma non va ancora bene.” Continuavo a spedire i lavori sistemati o altri nuovi: il risultato era sempre lo stesso. A parte le correzioni in rosso, stile maestrina, non fornivano alcuna indicazione. Quelle lettere sono andate perdute insieme ai testi; non ricordo più il loro contenuto, né il nome della testata giornalistica. Una cosa però mi restò impressa. In uno dei racconti che inviai, narrando di una donna che si affliggeva facendosi domande sul suo destino, avevo usato il termine karma, di certo appreso da qualcuno o da letture. Quando il racconto mi venne rispedito, vidi che non si erano limitati a sottolineare la parola, come facevano di solito, ma l’avevano cerchiata più volte in rosso, oltre a porvi a fianco un gran punto di domanda.
I viaggi in India – mèta prediletta fra quelle asiatiche – erano cominciati già da un po’ di tempo: dapprima artisti e figli dei fiori, poi anche persone comuni, partivano per senso di avventura o ricerca di spiritualità. Tuttavia ancora non era così diffusa la conoscenza di quella cultura, perciò certi termini magari a qualcuno potevano sembrare astrusi, nonostante fossero già presenti nei vocabolari di italiano.
Quindi, capito che si trattava ancora una volta di una perdita di tempo senza alcun costrutto, dopo un mese o due chiusi la mia prima, acerba esperienza di scrittura.
A questi periodi di ricerche forsennate e inconcludenti, si alternavano altri di stasi, nei quali avvilimento e depressione la facevano da padroni, specie quando le persone intorno a me, familiari e conoscenti, non lesinavano considerazioni e critiche, la più scoraggiante delle quali proveniva da una vicina di casa.
“Ma a chi ti appoggi per trovare un lavoro?” mi diceva con tono sprezzante, dall’alto dei suoi privilegi, ogni volta che mi incrociava. Conoscendomi, sapeva bene che non potevo contare sull’aiuto, e neanche sulla guida, di nessuno. Ma alla signora Lopes questo non importava certo, dato che provava un gran gusto ogni volta che poteva affermare la sua presunta superiorità.
Era una donnetta di bassa statura, altezzosa, impicciona e tirchia all’inverosimile; la sua faccia era una ragnatela di rughe, la capigliatura e gli abiti erano poco, per non dire per nulla, curati. Benché non le mancassero i mezzi, aveva scelto di vivere – insieme a figlia, genero e nipoti – nel nostro caseggiato di trenta famiglie, situato in un modesto quartiere; questo, diceva, per mimetizzarsi fra i poveri, con l’intento di tener celati i suoi cospicui averi ai ladri e forse anche al fisco.
“Secondo lei, dovrei forse suicidarmi perché non ho una raccomandazione?” Ribattei un giorno, stufa di essere messa in imbarazzo.
“Ah, questo poi no!” rispose voltando la faccia diventata rossa come un pomodoro. Da quel giorno pose fine ai suoi seccanti commenti.
Ma a parte la Lopes e le sue uscite indelicate, sia la gente che i mezzi di comunicazione, continuavano a parlare di crisi, di mercato del lavoro saturo e di scuole che avevano sfornato troppi diplomati. Del resto, il dato statistico lo confermava: nel decennio Settanta – il periodo della mia Maturità – il numero dei diplomati era quasi raddoppiato.
In effetti, c’era stato un vero boom di iscrizioni negli istituti tecnici: nelle scuole dei ragionieri, geometri e periti, come venivano usualmente chiamate, le sezioni potevano arrivare anche fino alla lettera M e le classi, soprattutto le prime, contavano trenta e anche più allievi. Ma già dal...