Daniela Milani Vianello
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Laureata in studi storici, da quarant’anni free lance, autrice di una decina di pubblicazioni di saggistica (storia) e narrativa per adulti e bambini.
Elena Cornelia Cornaro Piscopia
I frastuoni della casa, che si stava preparavano al trasloco, la raggiungevano, malgrado le porte chiuse. Si passò le mani sul volto stanco. “Ho bisogno di una pausa”decise avviandosi alla finestra. Passò davanti alla bella icona, opera di un madoner veneziano, recentemente regalatale dal padre, e si segnò brevemente.
Il balcone dell’antica dimora dalla facciata veneto bizantina, dove da secoli abitava la sua famiglia, si affacciava sul Canal Grande. L’immagine armoniosa che si presentava ai suoi occhi e l’aria fresca sembrarono giovarle, ma già sapeva che presto sarebbe tornata allo scrittoio dove l’attendeva il codice aristotelico in esame. Aveva ancora pochissimo tempo e voleva dedicarlo alle ultime verifiche da compiere sul vetusto manoscritto. E domani…
Domani, nella Cattedrale di Padova, davanti ad una folla, si presumeva numerosa assai, avrebbe pronunciato la sua dissertazione che le avrebbe dato accesso alla laurea dottorale in filosofia.
“La prima donna nella storia” ripeteva suo padre a ogni persona che incontrava e, a volte, ne era sicura, lo ripeteva anche in solitudine.
Domani, ben lo sapeva, sarebbe stata smarrita, impaurita mentre le odiate chiazze rosse l’avrebbero avuta vinta sul suo pallido incarnato. Quell’indomabile rossore, quando era costretta a dissertare in pubblico, era la sua pena e Zanetta, la madre, glielo rimproverava. Zanetta che non aveva mai conosciuto timidezze.
Questo pensiero la riportò alla sgradevole conversazione da poco conclusasi con i genitori.
“Il vestito è quanto di più elegante si sia mai visto. Perfino il mio passa in sottordine” aveva esclamato, con voce alterata, la madre. Elena Lucrezia però, quell’abito sontuoso, per giunta di color rosso cremisino, non l’avrebbe indossato mai, anche se, essendo una figlia timorata e devota, aveva provato un autentico dispiacere nella delusione che aveva letto negli occhi della madre. Era giunto in suo aiuto con poche parole il Procuratore di San Marco, Giovanni Battista Corner Piscopia, il padre.
“Signora moglie, abbiate pazienza. Anch’io avrei voluto che la nostra Elena Lucrezia eccellesse per il suo portamento, ma ricordatelo, domani sarà la luce della sua intelligenza a brillare, non il suo aspetto.” Poi aveva aggiunto: ”Tenete anche a mente che Elena Lucrezia è una oblata benedettina, avendo scelto, in accordo con il nostro sentire, di viver la sua vita con noi, in famiglia.” Ecco l’argomento principe per tagliar corto e infatti un’ora dopo aveva trovato, ben disteso sul letto, un nuovo o meglio vecchio abito. Era nuovo, in quanto non l’aveva indossato mai, ma consueto, esattamente nel suo stile, quello che portava tutti i giorni: nero, accollato con un solo giro di trine intorno ai polsi. Unica concessione, un corto mantello di pelliccia, giustificato dalla sua cagionevole salute.
Oblata benedettina, già. All’età di nove anni aveva fatto quella scelta, anche se avrebbe desiderato prendere i voti e continuare i suoi studi nel silenzio e nella luce soffusa di un chiostro. Quel senso di pace, quella lontananza dal mondo, ne era convinta, non l’avrebbe ritrovata più. Era stato deciso, allora, per una via intermedia: aveva preso i voti rimanendo in famiglia e non se n’era pentita. Pur dedicando molto tempo agli esercizi spirituali, ai digiuni, alla preghiera, aveva anche saputo godere della protezione e dell’affetto dei suoi parenti, oltre che degli agi della bella dimora. Aveva avuto tutta per sé una vasta stanza, con affaccio sul canale, in cui continuare gli studi; libero accesso alla ricca biblioteca del padre, oltre che l’insegnamento di prestigiosi studiosi, grecisti, matematici, teologi. In quell’intrico di nobili, antiche discipline, aveva trovato spazio anche per lo studio delle lingue, della filosofia, dell’astrologia, mentre nella sua educazione non erano state trascurate la musica e il canto. Insomma le ore del giorno tra preghiere e studi non bastavano mai.
Unica pena era la vanità del padre, che pure tanto amava: egli era fonte di un continuo affanno con il suo inappagabile desiderio di esibire al pubblico, in salotti, in accademie, la cultura della figlia, la sua preparazione di studiosa in molteplici discipline. Queste situazioni cozzavano aspramente con la sua indole timida e riservata. Come avrebbe desiderato dedicarsi ai suoi studi, alla sua amata teologia, ma anche al canto e alla conoscenza di altri popoli. Il tutto però finalizzato a saperne di più, per arricchire la sua mente.
“E’ ritrosia, allora si chiedeva, non piuttosto egoismo? Il voler tenere tutto per sé, non condividere con altri il piacere intellettuale, non arrecare gioia al padre che tanto le aveva dato?”
“ Il mio è timore, aveva spesso concluso, mancanza di coraggio anche se non motivato da situazioni pericolose da superare. Quale timore allora? Quello di mettersi in discussione, di porsi in luce piena, di poter non essere all’altezza, al poter scivolare dal piedistallo in cui il padre l’aveva collocata.” Con maggior generosità verso sé stessa, giungeva alla fine del lungo sforzo interpretativo
Seguendo questi pensieri, si era di nuovo affacciata al balcone. Oggi non le riusciva proprio di concentrarsi con la consueta serenità. Oltre alla prova che l’indomani avrebbe dovuto sostenere, c’era dell’altro: aveva maturato la scelta di continuare gli studi nella città patavina, in contrada del Santo, dove la sua famiglia possedeva un antico palazzo. Era una decisione razionale, approvata da tutti per la vicinanza dell’abitazione all’Università: la sua salute era sempre più cagionevole e abitando a Padova avrebbe evitato il lungo viaggio. Così avrebbe lasciato il luogo dove era sempre vissuta, avrebbe abbandonata la visione che le era tanto cara: il lungo serpente verde di acque lagunari che si insinuava tre le antiche dimore con armonia ma con determinazione.
In quell’ora del pomeriggio il canale era quasi privo di imbarcazioni: solo una sontuosa barca da parata stava passando sotto le sue finestre per scomparire subito dopo inghiottita dall’ampio, scuro arco del Ponte.
La seguì con l’occhio: al fluire di quella imbarcazione, anche la sua mente prese a seguire una corrente che la portava lontano nel tempo, oltre un secolo prima. Cosa strana per una come lei, sempre alle prese con gli studi che incanalavano i suoi pensieri su sentieri prestabiliti, soffocando la sua libertà immaginativa, tenendola stretta alla razionalità delle nozioni.
Pensò, ricordò, rivisse? L’immagine era un po’ sfocata, venendo da tanto lontano: una giovane donna riccamente vestita di nero, accanto al doge e ai massimi dignitari della Repubblica.
Seduta sul Bucintoro, con una pompa senza precedenti, Caterina Cornaro, regina di Cipro, andava a raggiungere il palazzo di famiglia a San Cassiano.
Di lei, delle sue vicissitudini Elena Lucrezia aveva letto, tanti anni prima, un’ antica cronaca trovata nella biblioteca del padre. In famiglia non se ne parlava, forse per l’invidia che un tale personaggio, una regina, fosse appartenuto a un ramo diverso dell’insigne casata. Così non ci aveva pensato più.
“Altera, bellissima”, scriveva il cronista e la nota si fermava là. Alla cronaca non è concesso dire di più, si trovò a pensare, ma mentre così procedeva, cosa albergava nell’animo di Caterina? Nutriva rimpianti per quanto si era lasciata alle spalle? Era stata, Caterina, stretta nella morsa della paura durante le numerose congiure contro il suo regno? Di certo avrebbe dovuto affrontare una nuova vita, lasciandosi alle spalle l’sola nel mare. Era dunue felice?”
Mentre gli interrogativi le passavano per la mente, ella stessa si meravigliava di porsi, con tanta spontanea introspezione, nei panni di una donna così lontana da lei negli anni e nelle vicissitudini. Quei momentanei pensieri erano come delle microscopiche sensazioni nascoste tra le pieghe più intime del suo sentire ed ella si era lasciata andare.
“Altera, bellissima”. Si limitava a scrivere il cronista, così dei pensieri, delle tensioni della Regina nulla sarebbe trapelato nei secoli. Forse che l’indomani, durante l’impegnativa dissertazione, qualcuno avrebbe supposto i sentimenti di tormento, di ansia vissuti in quelle ore di vigilia?
Così pensando, Elena era uscita un po’ da sé e dalle sue pene per la prova che l’indomani l’attendeva. Respirando a fondo, forse rincuorata, rientrò dopo aver accarezzato con un ultimo sguardo l’amata via d’acqua, ed essersi brevemente poi segnata davanti all’icona.
Elena Cornelia Cornaro Piscopia, l’erudita veneziana morì di là a poco, all’età di trentotto anni, affaticata da lunghi studi e digiuni, spossata dalle tante emozioni.