Vai ai contenuti
Concorso Letterario Internazionale di Poesia e Narrativa inedita
Salta menù
Desirée Rigamonti
Lagunando 2025 > AUTORI 2025 > Narrativa 2025
Nata in Lombardia e trasferita nel Lazio da bambina.
Mi sono appassionata di studio e letteratura sin dai tempi delle medie.
A 23 anni ho pubblicato un romanzo, mentre terminavo gli studi di ingegneria. Ho lavorato in diverse città e nazioni, seguendo cantieri ed aziende diverse, poi ho scelto di diventare insegnante in una scuola internazionale, per occuparmi al meglio dei miei due figli.
Ho partecipato e vinto l'Albero Andronico alcuni anni fa e recentemente ho pubblicato un thriller "Dovunque e comunque" presente al Salone di Torino 2025
. Amo lo sport, il cinema e, ovviamente, leggere.
Ha già partecipato a:
PRIMO CLASSIFICATO RACCONTI
HERO









Mi piace il pizzicore dei raggi del Sole quando entrano dalla finestra la mattina.
A volte la mamma non chiude bene le serrande, allora quando è ancora presto la luce inizia ad entrare nella stanza, io sento il calore dal mio lettino, mano a mano che il Sole sale sull’orizzonte; potrei alzarmi, a quel punto, invece resto ferma, a farmi inondare da quel tepore favoloso.
Papà, se è uno di quei giorni in cui non deve alzarsi di corsa per andare al lavoro, solleva le lenzuola sopra la testa e mugugna lamenti di vario tipo, mamma sorride e resta a letto accanto a lui.
Quando capisco che è uno di quei giorni, resto anche io nel mio letto e aspetto… sento il calore che sale lungo il corpo ed alla fine eccolo lì, il primo raggio che mi colpisce il naso, ed io lo arriccio un po’, però sono contenta.
Solo dopo essermi crogiolata un po’ e stiracchiata un altro po’, mi alzo e mi infilo nel letto di mamma e papà, lui fa sempre finta di essere infastidito, si gira e si rigira ripetendo “no, non ancora, torna a letto”, ma lo fa sorridendo e intanto già mi coccola, così mi piazzo tra lui e mamma e rimaniamo lì ancora un po’.
A volte mi addormento di nuovo, cullata dai loro respiri, in mezzo alle loro braccia, mi sento al sicuro, felice, nel posto giusto.
Non è stato sempre così  facile per me, però, ricordo bene quando persi la mia mamma biologica.
Molti inverni e molte estati fa vivevo con lei vicino ad un ponte di pietra, una notte lei si allontanò in cerca di cibo, io rimasi con mio fratello, ma più il tempo passava più capivamo che qualcosa non andava.
Aveva iniziato a piovere e mio fratello era sempre più spaventato, avevo cercato di rimanere forte, di tranquillizzarlo, ma anche io avevo paura.
Quando tornò per un istante pensammo che fosse stato solo un ritardo, poi però vidi la ferita.
Un’auto aveva sbandato e lei non era riuscita ad evitarla, non si erano nemmeno fermati a controllare come stesse, lei era tornata da noi, ma solo per dirci addio.
Persi mia madre sotto una pioggia torrenziale, senza poter fare niente per lei, né per mio fratello, che si rintanò nel nostro scatolone senza più muoversi per ore.
Con l’arrivo del sole quel giorno arrivarono anche gli uomini, camminavano svelti lungo la strada, allora non sapevo quanto la fretta fosse importante per la maggior parte di loro, corrono ogni giorno, affannandosi per arrivare prima, per arrivare in tempo, per non fare tardi, per recuperare qualcosa…
Ad un certo punto una signora molto anziana ci vide, in realtà anche tutti gli altri ci avevano guardati, ma nessuno ci aveva visti.
“E voi due? Cosa fate qui tutti soli? Dov’è la mamma?”
Fu allora che la vide, la mamma era sdraiata in una zona d’ombra, solo chi si fosse soffermato l’avrebbe notata, si avvicinò a lei, ma poté solo constatare che era morta.
A quel punto fu  come se fosse ringiovanita e avesse acquisito forza tutto insieme, prese lo scatolone con me e mio fratello dentro e ci portò da un dottore.
Capii subito che era un dottore perché sentivo odore di alcol e portava una camice verde, lui ci guardò, ci visitò, sollevò ogni nostra zampa e studiò persino i nostri denti.
Mi fece due punture e non mi piacque affatto, poi mi infilò in una gabbia e mi piacque ancora meno.
La signora mi era sembrata gentile, ma ora avevo scoperto che le sue intenzioni erano di portarmi in quel luogo per mettermi in prigione dopo avermi punzecchiata.
Mio fratello era in una gabbia accanto alla mia, sembrava sperduto e sconsolato.
Pochi giorni dopo arrivò un bambino con i suoi genitori, non appena vide mio fratello iniziò a saltare sul posto, lo indicava e urlava, mentre lui si rintanava più lontano possibile nella gabbia.
Lo portò via.
Non seppi dove, né non seppi perché o almeno, non lo capii finché non toccò anche a me.
Alla fine alla gabbia mi ero abituata e pensavo che in fondo poteva andarmi peggio.
Mangiavo due volte al giorno e una ragazza con i capelli viola mi portava a fare una passeggiata ogni tanto.
Quando mamma e papà entrarono i loro occhi incontrarono i miei, papà era bellissimo e la mamma aveva gli occhi più dolci che io avessi mai visto, la mia coda iniziò a dondolare freneticamente, non capivo nemmeno per quale ragione lo facesse, ma non sapevo fermarla, né lo volevo in fondo.
Si avvicinarono lentamente, delicatamente, parlando a bassa voce, poi lei lo guardò e disse “Leila” e io capii subito che parlava di me.
Da allora vivo con loro, so benissimo che non sono i miei genitori, ma mi piace pensare a loro come mamma e papà, d’altra parte mi danno da mangiare cose buonissime, mi fanno le coccole, si occupano di me, mi portano anche da quel fastidioso dottore se mi faccio male o non sto bene, insomma, fanno tutte le cose che fanno i genitori.
Durante la settimana vanno al lavoro, papà esce di corsa, senza nemmeno fare colazione, mentre la mamma si siede al tavolo, mangia biscotti e beve latte e caffè e intanto mi racconta le notizie che legge sul suo cellulare.
Io non so dove siano gli Stati Uniti, né come si chiami il conduttore di Pechino Express, ma adoro il modo dolce in cui mi parla.
Quando ero più giovane saltavo e cercavo di rubarle i biscotti, lei rideva, poi mi sgridava, ma poi rideva di nuovo ed io capivo che non era davvero arrabbiata; da qualche tempo faccio fatica a saltare, quindi resto accoccolata sotto la sua sedia e ascolto.
Tornano che è quasi sera ed  usciamo a fare lunghe passeggiate, o meglio, una volta facevamo lunghe passeggiate, e corse e gite, ora passeggiamo per un po’ lentamente, prima che io mi stanchi.
Qualche giorno fa papà mi ha portato in braccio dal parco, non è stato facile, perché io sono piuttosto grossa, ma le zampe non mi tenevano più e lui non voleva trascinarmi, perciò si è fatto forza e mi ha portata, durante il tragitto mi sono sentita di nuovo una cucciola, anche se lui ansimava forte e mi dispiaceva di fargli fare tanta fatica.
Stamattina sono tra le loro braccia, perché è uno di quei giorni in cui non si va a lavoro e forse faremo qualcosa di molto bello tutti insieme.
“Andiamo a fare un picnic?”
Mamma parla con me, la mia coda è già partita, adoro i picnic!
“Sicura? Sembra così stanca ultimamente…”

Papà non sembra convinto
“Le farà bene stare all’aria aperta, andiamo al prato vicino al fiume, la strada è vicina, non dovrà camminare troppo”
Brava mamma, insisti, fagli gli occhi dolci che usi per convincerlo a lavare i piatti quando non ti va di farlo.
“Vorrei solo evitare di strapazzarla, dopo quello che ha detto il veterinario…”
Papà le accarezza un braccio, io non so cosa abbia detto il veterinario perché ci hanno parlato mentre dormivo, in realtà non so neanche come mai mi sono addormentata nello studio medico, non capita mai!
“Proprio per quello che ha detto, se manca poco voglio che si goda ogni giorno che resta”
Ora la voce della mamma sembra tremare, non mi piace quando è triste, però in qualche modo ha convinto papà ad andare.
In pochi minuti lui è sotto la doccia e lei canticchia insieme ad Alexa mentre prepara i toast da portare.
Io sono un po’ lenta ultimamente, questo dolore alle zampe rende faticoso saltare giù dal letto o fare le scale, mamma e papà spesso mi aiutano e prendono sempre l’ascensore, sanno ciò di cui ho bisogno anche se non posso parlare.
Anche in auto la mamma canta, papà a volte canta con lei, altre volte fa le smorfie perché dice che non gli piacciono le canzoni che lei sceglie, però le fa col sorriso e ticchetta con le dita sul volante, quindi non credo che dica tutta la verità.
Mentre l’auto mi culla ripenso a quello che diceva la mia mamma canina, secondo lei gli umani erano tutti cattivi, anche quelli che ci tiravano del cibo, diceva che lo facevano solo perché non ne volevano più e le nostre bocche erano più vicine del cestino dei rifiuti.
Diceva che per loro eravamo proprio questo, rifiuti… e di non credere a quelli che mormoravano “carini” passando o a quelli che cercavano di prenderci…
“Correte, correte via, non può venire nulla di buono da quegli esseri assurdi! Si muovono su due zampe, sempre in bilico, costruiscono enormi scatole grigie per viverci dentro in centinaia e quelle auto con le ruote che sputano quel fumo tossico”.
Non voglio dire che la mia mamma pelosa mi avesse detto delle bugie, probabilmente era convinta di ciò che diceva, ogni tanto ne osservava uno con attenzione e sembrava si perdesse nel ricordo di chissà cosa, mi diceva che un giorno mi avrebbe raccontato cosa le era capitato, perché li odiasse tanto, ma mentre parlava di disprezzo io vedevo i suoi occhi tristi e non sono più certa che riconoscesse la differenza tra odio e dolore.
Il prato dove a volte facciamo i picnic è bellissimo, appena oltre uno steccato di legno, salendo lungo una leggera collina, accanto ad una strada in salita su cui passano poche auto e qualche camion di tanto in tanto, per il resto gli unici rumori sono gli uccellini, il ronzio di qualche ape, e mamma e papà che parlano e parlano.
A volte li ascolto, chiedendomi come mai dopo tanti anni insieme abbiano ancora qualcosa da dirsi e soprattutto perché ne abbiano bisogno, è così bello stare insieme in silenzio…
Non è questo il vero senso dell’amore? Stare bene insieme senza aver bisogno di riempire lo spazio con le parole?
Comunque loro parlano mentre mettono una grossa coperta sull’erba e mentre mi accarezzano, parlano mentre tirano fuori delle patatine,  quelle però non me le fanno mangiare perché dicono che mi fanno male, e qualche biscotto appositamente studiato per me, parlano mentre si accarezzano e mentre io giro su me stessa per trovare la posizione perfetta per un pisolino.
Qualche tempo fa giocavamo col frisbee, tutti e tre insieme, ora papà lo porta ancora, ma resta appoggiato sulla coperta accanto a me, non so se lui speri che un giorno io lo prenda in bocca e inizi a giocare, ma per ora mi sento un po’ troppo stanca per farlo.
Mi godo i raggi del sole, che sono anche più caldi di quanto mi aspettassi, e questo leggero vento che mi porta profumi lontani, sento un acero, credo, anche se non lo vedo, e odore di umido, sarà il fiumiciattolo che scorre oltre la collina, poi sento la crema da corpo della mamma e fiori ovunque.
Tengo gli occhi chiusi e mi godo la tranquillità, potrei rimanere così per ore o per giorni, il piede della mamma mi sfiora appena, mi piace questo contatto.
Qualcosa mi entra in un orecchio, lo sollevo appena, quasi senza volerlo, è un rumore leggero, si sente appena, forse è lontano o forse solo controvento, però non riesco ad ignorarlo, alzo la testa e lo vedo immediatamente.
Più giù, oltre la strada, dove c’è un altro prato, c’è un cucciolo.
E’ piccolo, molto piccolo, sta guaendo.
E’ solo, sento il suo pianto e riconosco la sua paura.
E’ come se fossi tornata sotto quel ponte, con mio fratello nascosto in un angolo.
Sto per alzarmi, potrei andare verso di lui e portarci mamma e papà, poi però vedo un’altra cosa, molto meno piccola, molto più spaventosa, c’è un camion, arriva troppo veloce in discesa, troppo veloce.
Il cucciolo mi ha visto e sembra voglia attraversare la strada.
Sono in piedi, sento la zampa che fa male, la appoggio e il dolore peggiora, poi appoggio l’altra e di nuovo quella dolorante e in un istante sto correndo a perdifiato giù per la collina.
In pochi passi non sento più il dolore, solo il pianto di quel cucciolo e il rumore del motore, sul prato mi sembra di volare, le orecchie al vento, la lingua che penzola e sgocciola, sento mamma e papà urlare:
“Leila! No!”
E anche loro corrono, ma non credo abbiano visto il cucciolo, non penso abbiano capito cosa succede.
Lo steccato, posso passarci sotto, ma perderei tempo, so che posso farlo, l’ho fatto in passato, anni fa, forse troppi anni fa, raduno ogni mia energia e spicco un balzo, il cucciolo è in mezzo alla strada, guarda me, non il camion.
La zampa dietro colpisce il legno, ma non sento altro che quel guaito, ancora due passi, lo prendo tra i denti e mi butto dalla parte opposta della strada.
Il camion mi sfiora la coda, nemmeno rallenta e dopo un istante è oltre una curva.
Ho ancora gli occhi chiusi, ma qualcosa di caldo mi si strofina sul muso. Mi sta leccando.
“Leila! Ma cosa?”
Papà deve averlo visto ora. La mamma arriva un istante dopo e mi abbraccia
“Leila! Pazza! Che ti è preso?”
Poi alza lo sguardo e vede quel cosino tra le mani di papà.
Hanno capito tutto.
Sono intelligenti i miei genitori.
E lo so che non sono i miei  genitori, eppure ora non vorrei nessun altro qui accanto a me.
La mamma mi tocca appena la zampa, ora fa male, sanguina e forse si è rotta.
Sento di nuovo umido, ma non è il cucciolo, la mamma mi culla la testa e piange.
“Leila… Leila…”
Apro gli occhi, è bellissima!
Con i raggi del sole che le colpiscono i capelli castani e quel sorriso grande, grandissimo.
Vorrei sorriderle, tranquillizzarla, ma non riesco, sono così stanca, voglio solo dormire, cullata da tutto questo amore.
“Leila! Piccola mia, resta qui, resta con noi”
Papà ha preso le chiavi dell’auto dalla tasca
“La portiamo alla clinica!”
Vorrei implorarli di non muovermi, se c’è un luogo dove vorrei dire addio a questo pazzo mondo è questo, dove siamo stati felici, dove mi sono sentita davvero amata.
Si è chinato anche lui si di me, si guardano, forse lo hanno capito.
Mi accarezza la pancia, lo sa che mi piace tantissimo, intanto tiene quel cucciolo con una mano, rassicurandolo ed io sento che anche quel piccoletto ha capito quanto loro siano speciali.
Odore di acero e di famiglia, c’è un modo migliore per andarsene?

Leila, pazza, divertente, buffa cagnolina.
Ti abbiamo presa al canile che eri un cucciolo spaventato e sei diventata in poco tempo una compagna di giochi, avventure e di vita.
Sei stata al nostro fianco nei giorni grigi di lavoro e stress ed in quelli pieni di sole e baci e allegria.
Hai riempito i nostri cuori e la nostra cosa e colmato assenze che non torneranno.
Sei stata il sorriso in un momento di sconforto e un porto caldo nelle notti più lunghe, sei stata gioia e amore senza limiti e senza compromessi.
Hai dato tutta l’energia che ti era rimasta per salvare questo cucciolo, come solo un grande supereroe sa fare, senza pensare a te, alle conseguenze, a ciò che lasciavi.
Ho pianto per te tutte le lacrime che avevo in corpo e poi ho visto il dono che ci hai lasciato.
Un altro amore, che non potrà mai sostituirti, ma che si prenderà il suo spazio e saprà essere gioia e amore senza limiti e compromessi.
Ti amiamo, ovunque tu sia.
Lo abbiamo chiamato Hero.


Torna ai contenuti