Francesco Enzo
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La formazione Artistica presso l'Accademia di Belle Arti in Venezia, accompagna la passione per la pittura e il Design.
Progetta collezioni di calzature nello Studio sito nella Riviera del Brenta.
Tra le passioni, lo scrivere è diventato un mondo necessario.
Ha già partecipato a:
Sinossi
Due amici, entrambi scrittori, sono immersi nella stesura del loro nuovo romanzo quando accade l’inspiegabile: i personaggi della storia si ribellano e fuggono dal racconto. Stanchi di essere guidati da mani che non comprendono la loro vera natura, decidono di scrivere da soli il proprio destino.
Privati della trama e delle figure che animavano le pagine, i due autori si trovano costretti a compiere l’impensabile: entrare nella storia che stavano creando. In un mondo narrativo in disfacimento, sospeso tra finzione e coscienza, ha inizio una corsa contro il tempo per ritrovare i propri personaggi… e forse anche se stessi.
Un racconto metanarrativo che indaga il fragile confine tra creatore e creatura, tra scrittura e identità.
Quasi le dieci
1
Quasi le dieci. Questa è l'ora che segna l'orologio appeso alla parete, fermo da mesi.
Intuisco di essere nella medesima posizione da più di un ora rispetto al finto orario e ancora niente. Guardo spesso l'ora bugiarda e il fatto di ricordarmi in quella frazione di secondo che si tratta di una verità truccata, mi fa stare bene. La mia mente è bloccata e non si accende nulla nemmeno uno stramaledetto pensiero. Gli avambracci appoggiati al bordo spigoloso del tavolo presentano dei solchi sulla pelle che sembrano perdurare e cominciano a farmi male. Ma persisto, non mi muovo. Rimango sospeso senza meta nella calda nebbia della stanza. Nonostante questo, mi sento malinconicamente felice.
Avevo detto e ripetuto più volte a Leah che non ero adatto a scrivere eppure continuava a sostenere che non dovevo preoccuparmi e l'unica cosa da fare, era quella di lasciarmi andare.
Lascia fluire le cose – diceva. Non pensare, cerca di essere l’acqua del fiume che scorre e si adatta senza troppe complicazioni. E poi lo sai- continuava- funziona così ad ogni inizio.
Non è facile cercare di essere ciò che non sono abituato a pensare di essere.
Improvvisarmi scrittore non è proprio nelle mie corde. Di colpo divento lo studente impreparato sul banco del college che sta facendo una brutta figura, bloccato senza respiro mentre scruto nel pulviscolo la risposta che non arriverà mai.
Rilascio l'aria dai polmoni contaminata dal tremore che hanno provocato le energie trattenute al mio interno e la guardo dissolversi nella nebbia artificiale diventando parte del tutto.-Ma quale tutto?- chiedo tre me e me, io non vedo nulla e tutte queste cose attorno a me, inermi e silenziose sono relitti abbandonati e privi di ricordi importanti, una specie di modernariato della memoria.
Le sedie scombinate, recuperate lungo la strada, sottratte alla via del macero ora riposano vicine, così come il tavolo di legno scuro. Questa stanza è un’isola del mio naufragare senza onde né suono del mare dove correnti incontrollate hanno dato origine a un miscuglio di oggetti spesso inutili che si sono raggruppati lungo i muri. Leah la chiama” decadenza intellettuale” camuffando il suo disappunto da donna ordinata con un sorriso paziente. Io non ci vedo nulla di intellettuale in questo atollo di merda. Sorrido dispiaciuto.
Il dolore sulle braccia mi distoglie facendomi finalmente cambiare posizione. I muscoli della schiena irrigiditi bestemmiano a voce bassa e cercano l'assetto favorevole. Niente da fare, oggi non riesco, non esce nulla nemmeno un'idea su cui lavorare.
Di fianco a me riprende vita anche Marcello. Sento la sua coda battere tra le zampe del tavolo e i suoi occhi umidi fissarmi.
Il suo nome è dovuto al fatto che mi ricordava la timida e impeccabile eleganza di un attore italiano in un film degli anni sessanta in bianco e nero visto al cinema molti anni fa non molto lontano da questo isolato. Fino a quel momento avevo sempre evitato la compagnia di un animale.
Lo trovai fuori dalla porta di casa una mattina presto durante l'estate. Sembrava uno di quei venditori di aspirapolvere che loro stessi chiamano “motori”col sorriso costruito dopo mesi e mesi di preparazione dai colleghi insegnanti pronti a lanciarli nella mischia per generare e sostenere il giro di affari dell'azienda che li ha comprati e derubati del tempo per l'ennesima spilla di merito ogni volta dalle dimensioni più evidenti e qualche pacca sulla spalla , di quelle che accendono il morale e li fanno sentire che “dopotutto sei ancora uno che ce la può fare”, pronto ad entrare come ariete per la nuova dimostrazione.
Lo mandai via scocciato facendolo correre giù dalle scale imprecando parole ancora impastate al sapore di caffè. La cosa si ripeté incredibilmente per vari giorni. Sembrava uno scherzo.
Arrivai al punto di mettere qualche volantino qua e là lungo il viale con la sua foto pensando si fosse smarrito.
Niente da fare. Lui non mollava. Aveva scelto. Altro che tecniche del marketing.
Per molti mesi è rimasto senza un nome. Lo chiamavo “cane” perché non volevo che entrambi diventassimo uno dell'altro. Cercavo di essere padrone di niente e che lui non fosse il mio cane. Mi piaceva l'idea che entrambi potevamo godere del privilegio di sentirci liberi senza alcuna costrizione né dovere e così è stato fino al punto che rapito dalla sua perseveranza cedei alla ripetuta insistente presenza. Il suo mantello di pelo è interrotto da una macchia bianca proprio all'altezza del collo e disegna una specie di camicia che spicca dall'abito nero, sartoriale e lucido, proprio come quel Marcello. Non è il mio cane, gli ho solo dato un nome.
Faccio un tuffo nei sui occhi neri scivolando nella magia della materia e mi insinuo nella prospettiva sconosciuta. Tutto mi appare grande, l'atollo di merda è quasi un'isola avvolta da resti di legno e plastica, paesaggio di un’inutile estetica del caos. Anch'io sono diverso visto da qui. Riesco a vedermi da questa nuova posizione che potrei chiamare “non Io” o meglio da una trasposizione di me stesso che ancora non conosco. -Pensa semplice – continuo a dirmi mentre faccio conoscenza con il nuovo punto di vista, - Pensa semplice-.
Mi scorgo ricurvo, immobile, arenato, semplicemente non mi riconosco. Posso sentire il mio odore finora sconosciuto attraverso il nuovo olfatto. Un aroma composto da svariate sfumature che vanno dalla nicotina all'acido nauseabondo dei calzini settimanali, a qualche traccia di piscio ancora persistente nelle mutande di ieri e profumo scadente all'essenza di sandalo comprato al supermercato per pochi dollari.
Scrollo di dosso me stesso con quella mossa tipica che i cani usano fare cercando di asciugarsi dall'acqua dopo un bagno.
Turbato da questa veloce esperienza che chiamerò “fuga dall'Io”, torno uomo e il cane, cane.
Mando giù l'ultimo sorso di caffè nero come l'inchiostro ormai freddo e cerco un punto d'appoggio su cui far leva nel tentativo di rialzarmi.
Sfido la gravità, sfido le leggi della fisica e i Santi, issandomi come uno dei bronzi di Riace che stringe ancora i pugni nell'atto di affermare la propria identità guerriera sul suolo in ceramica di questa limitata spiaggia.
Quando cerchi di forzare le cose, non funzionano o funzionano male. -Lascia fluire e non opporti-.
Il numero di Leah è memorizzato al numero tre nella tastiera consumata del dispositivo obsoleto di comunicazione. Al numero uno e due non vi è alcun numero in memoria e questa cosa non me la spiego, penso solo sia un errore tecnologico o di fabbricazione e nello stesso momento in cui lo penso e ci rifletto, ho un brivido caldo di soddisfazione contro le macchine ritenute troppo spesso invincibili, che mi rende ancora una volta felice.
Spingo il terzo tasto per un secondo che forse è quasi due e avverto da quel piccolo foro minaccioso, il suono che attiva la chiamata...