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Concorso Letterario Internazionale di Poesia e Narrativa inedita
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Monica Fregolent
Lagunando 2025 > AUTORI 2025 > Narrativa 2025
Nata nel 1985 a Valdobbiadene, nel 2009 si laurea in Traduzione ed Interpretariato, specializzandosi in traduzione tecnico-scientifica presso l’Università Cà Foscari di Venezia. Nel 2010 si trasferisce in Spagna, dove ottiene un Master di abilitazione alla docenza presso l’Università di Valencia e, successivamente, un Master in Scienze del Linguaggio e Linguistica Ispanica. Nel 2016 impartisce e coordina i corsi ufficiali di inglese per l’Accademia di Arte Drammatica di Valencia (ESADV) e per la Scuola Superiore d’Arte di Manises (Spagna). Nel 2021 ottiene una cattedra nella Scuola Ufficiale di Lingue di Sagunto (Spagna). Parla italiano, inglese, spagnolo, catalano e un pizzico di francese. Dal 2023 vive a Roma e... scrive.
Ha già partecipato a:
SINOSSI – MISTERO NEL QUARTIER DEL PIAVE

20 luglio 2024. Il maresciallo dei carabinieri Ludovica Lorenzon, da poco tornata nella natìa Sanavalle (paese immaginario situato tra le città, reali, di Valdobbiadene e Vittorio Veneto, provincia di Treviso), si dà appuntamento con i tre colleghi del nucleo investigativo per trascorrere la serata alla sagra di Sant’Anna.
Il mattino successivo, un pensionato rinviene un cadavere sul greto del Piave, nel bosco retrostante il capannone della festa paesana. Così, a distanza di poche ore, Ludovica si ritrova nel medesimo luogo della sera prima, ma con ben altro scopo: quello di investigare un omicidio. Infatti, giunta sul posto per un primo sopralluogo, constata che ad uccidere il giovane è stato un proiettile sparato a bruciapelo. Ad affiancarla nelle indagini ci sono il Brigadiere Barbaro (un trentaduenne di origine campana, trapiantato in Veneto da anni e in crisi per la morte della moglie); il carabiniere Loris Donadel (ventisettenne bellunese, devoto alla morosa storica) e l’appuntato scelto Mirco Visentin (trentanovenne trevigiano, dedito allo Spritz, alle donne e vizi vari). Quest’ultimo riconosce la vittima grazie ad una foto pubblicata sul profilo di un influencer locale: si tratta di Tommaso Astori, figlio di un noto produttore di Prosecco nonché fidanzato di Isabella Corbalto, appartenente ad una millenaria casata di conti. Il ritrovamento sul luogo del delitto di un ciondolo con una “i” e il fatto che risulta irreperibile portano quest’ultima ad essere uno dei principali sospettati.
Ma quando viene rinvenuta senza vita sul suo letto, la vicenda prende una piega inattesa. L’ipotesi che sia stata lei ad uccidere il fidanzato per poi suicidarsi non convince Ludovica, la quale concentra i suoi sospetti sulla madre, fredda e calcolatrice. Inoltre, nella vita di Tommaso sembrano esserci delle ombre: alcune incomprensioni avute con l’influencer, un incidente mortale accaduto anni prima nell’azienda vinicola di famiglia, delle vecchie lettere di minacce rimaste anonime e l’esistenza di una donna sconosciuta che sia lui che suo fratello Giorgio frequentavano conducono le indagini in diverse direzioni.
Il caso, il primo da quando è tornata, mette Ludovica a dura prova poiché, oltre a ritrovarsi a dover indagare su un duplice omicidio, scopre che Loris le ha tenuto nascosto che nei giorni concomitanti al crimine la sua pistola fosse sparita dalla caserma. E, come se non bastasse, deve sopportare gli sguardi – giustificati dall’innegabile bellezza che la caratterizza – e le battute talvolta inopportune di Mirco. Meno male che il Brigadiere Barbaro, pacato e attento, lavora al suo fianco senza darle pensieri: viene da un mondo diverso dal suo ma ad accomunarli c’è il dolore di una perdita.
Quando le indagini sembrano arrivare ad un punto morto, un filmato realizzato dall’influencer, il quale passa da sospettato a collaboratore improvvisato, risulta essere il pezzo mancante che permette a Ludovica di completare il puzzle, svelando così il complotto ordito dal fratello di Tommaso con la complicità della donna misteriosa, la quale aveva sottratto la pistola dalla caserma.
E Isabella? Nemmeno su quello l’intuito di Ludovica l’aveva tradita: non si era suicidata. Era stata vittima della brama di controllo e di perfezione di chi l’aveva messa al mondo.
MISTERO NEL QUARTIER DEL PIAVE
Il Primo Caso del Maresciallo Lorenzon e il Brigadiere Barbaro

CAPITOLO 1 – INCONTRI

Quel 20 luglio il caldo afoso faticava a lasciare spazio alla tanto attesa frescura di una serata estiva ed il sole fulminava ancora la vasta distesa d’erba che, da lì a poco, si sarebbe gremita di automobili. Ad entrambi i lati della strada asfaltata che conduceva da una località all’altra si stagliavano le ombre scure dei platani che, come soldati perfettamente allineati, avrebbero scortato le vetture fino allo spiazzo d’erba. Più in lontananza, il manto verde brillante si perdeva in un denso bosco che interrompeva l’orizzonte e, sullo sfondo, si imponevano sontuose le Prealpi trevigiane a dominare la scena.
Era quello il panorama che da quasi cinquant’anni accoglieva la consueta sagra paesana in onore a Sant’Anna, che si svolgeva nell’omonima frazione. Da giorni la gente dei paesini limitrofi osservava il capannone bianco, montato per l’occasione, ogniqualvolta percorreva la strada che portava da Conegliano a Sanavalle pensando che, finalmente, nel giro di poco avrebbero avuto inizio i festeggiamenti. Perché proprio di festa si trattava. Anzi, “festa granda”, come diceva la gente del posto. Quell’incantevole spazio naturale, una sorta di piccola valle silenziosa contenuta tra una striscia d’asfalto e lo scorrere delle acque del Piave, sarebbe stato a breve testimone delle corse dei bambini vestiti a festa e del frastuono di centinaia di persone chiacchierando davanti a un buon piatto di polenta e salsicce e un bicchiere di vino.
Ludovica Lorenzon infilò una stradina sterrata, lasciandosi alle spalle la provinciale. Vide un uomo agitare le braccia: le faceva segno di andare in fondo al parcheggio. Doveva trattarsi di uno di quei vigili in pensione che lavoravano alla sagra come volontari.  Fece caso alle sue indicazioni e posteggiò la vettura in una delle file delimitate col nastro rosso. Spense il motore e sfilò le chiavi. Era presto e al momento c’erano solo poche auto, molto probabilmente quasi tutte appartenenti ai volontari della Pro Loco che erano già alle loro postazioni, pronti a destreggiarsi tra fuoco, braci e chili di salsicce. Non appena aprì la portiera, il profumo dell’erba falciata la avvolse nello spensierato e nostalgico ricordo dell’infanzia. Quando era piccola, la sagra di Sant’Anna era un appuntamento immancabile che portava un po’ di brio alla lentezza delle vacanze estive. Le braccia multicolore dei dischi volanti che ruotavano, facendo su e giù, le sembravano irraggiungibili allora. Cose da grandi. Bisognava accontentarsi di un sacchettino trasparente contenente piacere allo stato puro sottoforma di squali azzurri, bottigliette color Coca-Cola e rotelle di liquirizia, con buona pace dei denti. A restituirle l’entusiasmo bastavano l’odore delle braci e sapere che per la cena ci sarebbe voluto ancora un po’, il pretesto giusto per chiedere a mamma e papà di poter andare a giocare con gli altri bambini. Nel giro di un paio di minuti, l’amicizia era fatta. E di amicizie ne avrebbe ritrovate e, forse, anche fatte di nuove d’ora in avanti poiché era stata trasferita da poche settimane alla stazione carabinieri del paese dov’era nata e cresciuta.
Ludovica aveva deciso di arrivare alla sagra con un po’ di anticipo rispetto ai suoi colleghi.  Avevano insistito nell’organizzare una serata insieme fuori dalla caserma e avevano invitato anche lei. Non se l’era sentita di rifiutare. Tutto sommato, poteva rivelarsi una buona occasione per inserirsi nuovamente in una realtà che, una volta, era stata sua ma che si era lasciata alle spalle anni fa, quando aveva deciso di arruolarsi nell’Arma. E poi sembravano pure simpatici. Ciò nonostante, sentiva la necessità di riconciliarsi con la propria lei del passato, in quel luogo, da sola, prima che l’incontro con delle persone pressoché sconosciute potesse contaminare per sempre i suoi ricordi, che erano tutto ciò che le rimaneva. Si avvicinò al capannone bianco sotto il quale lunghe tavolate erano già pronte ad accogliere centinaia di persone, conducendo l’occhio fino al palco dove una batteria, una tastiera ed un microfono attendevano il loro momento di gloria. Proprio lì dietro, un sentiero portava ad un denso bosco dove imperava una tranquillità assoluta. Si addentrò solo qualche metro per immergersi nella fresca penombra. Le era sembrato di passare dal giorno alla notte tutto d’un tratto. Sotto i suoi passi sentì la morbidezza del terreno umidiccio e, alzando lo sguardo, si rese conto che l’oscurità era giustificata da un garbuglio impenetrabile di rami e foglie. Si lasciò trasportare dal suono dell’acqua del fiume che scorreva proprio di fianco al sentiero. All’improvviso, la quiete fu turbata dal suono delle campane che invitavano a raccogliersi nella piccola chiesetta vicino al capannone. Decise di tornare sui suoi passi. Se ne sarebbe rimasta ad aspettare proprio lì, di fronte alla chiesa. Non si era mai soffermata ad osservarla nei dettagli ma ora quel portoncino di legno sotto il frontone triangolare, quelle finestrelle a lunetta e quel campanile dalla punta verde scuro che spiccava sul cielo rosato le avevano restituito uno sciocco pensiero che credeva di aver dimenticato: com’è bella casa mia.
*
«Buonasera, Brigadiere. Ho sentito che te ne torni a casa tra qualche giorno. Sarai contento di tornare giù dalle tue parti e vedere i tuoi parenti», disse una voce flebile, consumata.
«Signora Mariolina, che piacere vedervi! Ci potete scommettere. Sono mesi che non ci torno. Lasciatemi che vi aiuti con la spesa...», ribatté ad alta voce il Brigadiere.
La casa della signora Mariolina distava solo pochi passi da quella del militare dell’Arma e lui era sempre ben disposto ad aiutarla quando si incrociavano, anche se capitava sempre meno di frequente negli ultimi tempi. Depositò le buste su un tavolinetto in pietra nel cortile, vicino all’ingresso, mentre osservava la donna inserire la chiave a tentoni nella serratura. Aveva sessantatré anni ma ne dimostrava di più. Era invecchiata terribilmente negli ultimi dodici mesi, da quando…
Un ragazzo che passava di lì in bicicletta, e che si era accorto della sua presenza, lo salutò con un fugace “buondì, Brigadiere”, senza rallentare. Ricambiò con un sorriso ed un gesto della mano.
Giuseppe Barbaro sapeva di essere molto benvoluto lì a Sanavalle. Era stato trasferito alla stazione dei carabinieri di quel paese in provincia di Treviso da una decina d’anni e ormai, dopo tanto tempo e tante vicissitudini, considerava quel luogo casa sua. Un paio di volte all’anno si recava a Sorrento, dov’era nato e cresciuto e dove tutti lo avevano sempre chiamato Beppe fin da bambino. Il resto dell’anno restava su, al nord, dove era conosciuto da tutti in paese come Bepi, soprannome molto usato in Veneto. Se lo era guadagnato dopo tanti anni di servizio e ciò diceva parecchio sul profondo legame che aveva instaurato con quella località ed i suoi abitanti. Tuttavia, davvero in pochi usavano quel nome per rivolgersi a lui in sua presenza. Quasi tutti preferivano dimostrare il loro rispetto e la loro stima chiamandolo semplicemente “Brigadiere”.
Posò le buste sul tavolo in cucina e, quasi senza volerlo, cominciò a scorrere le numerose cornicette in ciliegio esposte sul comò. Le aveva viste mille volte, quelle fotografie, ma non si stancava mai di guardarle. Alcune erano in bianco e nero, altre semplicemente sbiadite: una coppia di fronte ad una vecchia Fiat 500 agghindata con nastri e fiori; una neonata di pochi mesi in braccio ad una giovane Mariolina, affiancata dal marito, Alvise; e ancora, la foto di una bambina piegata su di una torta, intenta a soffiare sulle candeline ancora accese. Era Sara, la figlia di Mariolina e Alvise, da piccola.
Il Brigadiere si soffermò ad osservare quella che, tra tutte, era la sua foto preferita: un gruppetto sorridente, in abiti da lavoro, tra i filari ed i secchi colmi di grappoli d’uva. C’erano proprio tutti. Persino lui. Si riconobbe dietro ad una ragazza, che teneva stretta tra le braccia. Quel momento se lo ricordava benissimo: le era sbucato da dietro e lei si era voltata a guardarlo, con quei suoi occhi pieni di vita. Erano stanchi morti. Ma felici. Si concesse di ritornare alla festosità e alla spensieratezza di quella giornata per un attimo. Sorrise. Ma, d’un tratto, sentì un nodo stringergli la gola e un dolore lancinante allo stomaco....

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