Sara Costantini
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Ho 14 anni. Abito nel comune di Cavallino-Treporti.
Quest’anno frequenterò il liceo linguistico Tommaseo a Venezia.
Amo ballare, disegnare, scrivere, ascoltare la musica e giocare ai videogiochi.
Il mio sport preferito è la danza e lo pratico ormai da molti anni.
Ha già partecipato a:
A MIA MADRE
Veneto
23 Gennaio 1918
Cara mamma,
ti scrivo dalla trincea per avvisarti che sto bene.
Dì agli altri di resistere. Vedrete che la guerra finirà presto.
Questa mattina i nemici ci hanno attaccati.
Che scena brutale, quella vista con i miei occhi: un po’ alla volta, un soldato dopo l’altro, che fosse un nemico o un alleato, cadeva a terra con il fucile in mano. Io purtroppo ero ferma immobile che guardavo quel massacro.
Come tu sai io mi sono infortunata qualche giorno fa.
Combatterono durante l’assalto venti soldati e ne tornarono solo cinque.
Fortunatamente Silvia era una tra quei cinque.
Io e lei passiamo la maggior parte del tempo insieme.
A volte rinforziamo la trincea insieme o carichiamo le armi, o semplicemente combattiamo.
Eravamo quattro ragazze all’inizio in questa linea di battaglia, e ora siamo solo noi due.
Appena l’ho vista arrivare ho tirato un sospiro di sollievo.
Poveri ragazzi quelli caduti in questo giorno così nebbioso e freddo, ragazzi e ragazze che avevano tutta una vita davanti, che amavano suonare, che amavano lo sport, che amavano la vita!
La amavano talmente tanto da sacrificarsi per dare un futuro agli altri.
Come ti stavo dicendo io non ho fatto proprio nulla oggi per la mia patria, a causa della mia gamba parzialmente rotta.
Sono ferita da qualche giorno, quando un masso che avrebbe dovuto mantenere la trincea solida e impenetrabile, cadde sulla mia gamba.
Cosa sarebbe successo se mi fosse caduto in testa non lo voglio sapere.
E non voglio neanche sapere che cosa mi sarebbe successo se fossi andata all’assalto oggi.
E non voglio nemmeno pensare cosa succederà domani…o forse sì?
Forse la guerra finirà e con essa anche la nostra separazione, la disperazione nel mondo, i ragazzi che si sacrificano ogni giorno, ragazzi e ragazze come me, che farebbero di tutto pur di riabbracciare i propri cari, anche solo un minuto.
Vi prometto che presto sarò da voi, anzi, il nostro generale ci ha appena annunciato che fra un paio di settimane questa linea di battaglia sarà abbandonata da noi soldati.
Devi sapere che oggi, nonostante le numerose vittime, abbiamo vinto noi!
Hai capito?! Proprio noi!
Quindi sappi che fra due settimane ritornerò a casa, anche se ci saranno ancora degli spari, degli assalti e delle bombe.
Io tornerò perché io non voglio lasciarvi.
Io non voglio lasciare ai nemici la cosa a cui tengo di più al mondo, cioè la mia vita che in realtà sono i momenti passati insieme a voi.
In poche parole voi siete la mia vita. In questi mesi non ho fatto altro che pensare a voi.
Mi sento piano piano svanire, mi sento morire senza di voi!
Ma ora non più, perché abbandoneremo questo luogo, sempre che si possa definire tale.
Se leggi questa lettera, ti prego avvisa tutti che torno, anzi, dì loro che sono ormai a casa. S
pero che ti arriverà presto questa lettera, così da non farti preoccupare.
Un abbraccio infinito per tutti voi.
Preparatevi perché sto già tornando.
Sara
P.S. Silvia vi saluta. Un altro abbraccio, ciao!
LA REALTÀ NON È ALTRO CHE UN SOGNO CONCRETO
Erano le sette in punto di mattina e Veronica ancora dormiva.
All’improvviso suonò la sveglia: Veronica sussultò.
Appena si accorse che era giunto un nuovo giorno, si alzò dal letto.
Poi pettinò i suoi lunghi capelli biondi e li acconciò in una semplice coda di cavallo.
Corse in cucina per fare colazione e lì trovò Max, il suo fratellino.
“Buongiorno Max, dormito bene?” Salutò lei.
Veronica era una ragazza sensibile e gentile. Amava leggere e andare a scuola.
Spesso badava al suo fratellino minore Max, poiché i suoi genitori erano molto impegnati con il lavoro.
Subito notò che il suo fratellino era triste.
Dopo un brevissimo silenzio Max esclamò: “Non voglio andare a scuola!”.
“Dai, non fare così! Ti prometto che quando torneremo a casa giocheremo insieme.”, lo incoraggiò.
Max era un ragazzino dai capelli color nocciola e le lentiggini.
Un bambino solare, il più delle volte, e quel giorno non era di sicuro una di quelle.
“Mamma e papà sono a lavoro, perché non possiamo dire che siamo andati, ma in realtà non ci andiamo?!”, suggerì Max.
Sua sorella fece un respiro profondo e poi con tono severo ordinò: “Smettila Max, non fare il bambino lagnoso!”
Max non rispose, ma lei capì che si era offeso.
Arrivarono alla fermata dell’autobus. Passarono secondi, poi minuti.
Ormai erano le otto e quindici minuti e l’autobus non si era fatto vivo.
Fu in quel momento che Veronica ricordò lo strano sogno di quella notte che cominciava proprio così.
Max la vide pallida. “Che c’è? Stai male ? Perché l’autobus non arriva?”, le domandò lui mentre si sporgeva dal marciapiede per cercare il bus.
“Certo… Sì, sto benissimo! Emh… l’autobus? Non saprei, forse è…”
Veronica non finì la frase. “Veronica? Terra chiama Ve-ro-ni-ca?”, Max scherzò.
Poi vide la sorella con lo sguardo rivolto al cielo.
Delle enormi nuvole grigie ricoprivano il cielo ormai opaco.
“Torniamo a casa!”, disse lei seria, prendendo per mano il fratello.
Max non disse nulla, sembrava per la prima volta ascoltare sua sorella maggiore.
Tornati a casa Veronica chiuse la porta a chiave.
Poi si sedette sul divano pensierosa.
Max le si avvicinò un po’ confuso.
“Quindi non si va a scuola?”, chiese speranzoso.
“No, temo di no.” rispose lei.
Max si esibì in una danza di Trionfo che per un attimo fece sorridere Veronica.
Poi andò in camera, dopotutto lui non poteva capire… Lei invece sì!
Tutto era come nel suo sogno: prima l’autobus che non arrivava, poi le nuvole grigie e poi… Veronica sentì tremare il pavimento. “Aaaaaah, terremoto! TERREMOTO!”.
Urlò Max correndo da lei. Ma quello non era un terremoto.
Balzarono davanti alla finestra e osservarono davanti a loro un essere bizzarro: una specie di drago ma senza zampe, sembrava una farfalla enorme con le squame.
“Forte! É come nel mio fumetto!”, sussurrò entusiasta Max mentre la sorella cercava di ricordare il sogno.
L’essere cominciò a sbattere le ali e i due si sentirono quasi risucchiare ad ogni battito di ali. E poi un bagliore immenso inondò la stanza.
I due fratelli vennero accecati e poi svennero.
Il primo a svegliarsi fu Max.
Si alzò da terra e guardò fuori dalla finestra. Tutte le case ora volavano come aquiloni.
Veronica rinvenne, mentre il fratello emetteva delle esclamazioni di sorpresa.
Si sentiva ancora debole e anche se non voleva si fece coraggio e si affacciò anche lei.
“Il sogno, non è possibile!” Disse lei con un filo di voce.
“Già è un vero sogno!” Continua lui mentre gli occhi gli brillavano.
Veronica non capiva: Max non era spaventato? Forse anche lei doveva guardare tutto quello che stava accadendo con gli occhi di un bambino.
E così fece.
Si sedette sulla terrazza insieme al fratellino ad ammirare quel momento straordinario, indescrivibile, fluttuando tra le nuvole.
Veronica sentì tutte le sue paure e tutti i suoi pensieri svanire.
Si sentiva più leggera.
L’essere volante ricomparve e si avvicinò verso di loro. Max e Veronica lo fissarono perplessi. Lui li salutò con un cenno del capo.
Non era un mostro. Non era malvagio! Veronica lo accarezzò.
Le squame ora erano diventate una soffice peluria che diventava sempre più azzurra verso la coda.
I due lo cavalcarono e lui cominciò a volare.
Loro volarono e volarono sempre più in alto. Veronica, ormai priva di qualsiasi sentimento di paura, si sentiva libera, felice!
All’improvviso Veronica non vide più nulla. Sentì uno squillo.
Era la sveglia e lei sussultò.
Erano le sette in punto di mattina.