Martina Tagliapietra 2021
LAGUNANDO 2021 > selezionati 2021
Ho diciotto anni avverto la grande influenza delle mie radici Jesolane e degli studi che ho compiuto sino ad ora.
Frequento attualmente il Liceo Classico E.Montale di San Donà di Piave.
La voce della vita in me non può raggiungere l’orecchio della vita in te;
parliamoci, tuttavia: per non sentirci soli
Sul tavolo un fante di spade, un sei e il re di denari, un cinque di coppe. Ada prende il cinque con quello di bastoni.
Lascia cadere gli occhi sulle mani anziane del suo avversario. Le riconosce: sono mani grandi, da lavoratore, attraversate dalla fatica che ha scavato i suoi solchi, la pelle si lascia un po’ cadere e, sincera, non nasconde più le vene. Dita che ricordano gli anni passati e che conservano ancora quell’odore salino di chi ama il mare, di chi pesca a mani nude i granchi prima che cambino la muta. Domenico faceva il mestiere del padre, che lo aveva imparato dal padre di suo padre, pescava i granchi nella laguna in primavera e in autunno. Quando le moèche cambiano la muta, solo allora, vulnerabili, si possono pescare; vanno scelte a mano, con i piedi affondati nel fango delle barene, distinguendo i granchi buoni da quelli inadatti. Quel suo mestiere di laguna, provato da una sapienza antica, gli aveva insegnato a saper cogliere il momento opportuno e così aveva cominciato a vivere, seguendo il suo intuito da pescatore. Aveva imparato a scegliere le sue rare parole con cura, a distinguere le giornate giuste da quelle in cui la marea era alta, a prevedere la fortuna e a prevenire le disgrazie. Allo stesso modo giocava anche a carte.
In gioco c’è ancora il re bello, Domenico cala l’asso di spade e libera il tavolo.
Guarda la sua avversaria appoggiare la tazzina del caffè sul piattino. L’orlo è scheggiato, ma sua moglie non ama gli sprechi e quel servizio di ceramica le era stato regalato al matrimonio dalla sorella. Sopravvissuta ad anni di convivenza e di caffè ristretti, quella tazzina, con le sue crepe, resisteva. Ada non buttava via niente, anticipava l’arte del riciclo con la determinazione di chi ha addomesticato ogni oggetto che le è passato tra le mani. E quando qualcuno le faceva notare che la tovaglia era consumata o che il centrino aveva un foro, rispondeva che non ci avrebbe mai rinunciato, si dedicava ad un accurato ricamo, e ribadiva che era figlia della guerra, lei. Suo marito sapeva, quando si erano scelti, che Ada era capace di amare gli oggetti più piccoli, di trovare loro un posto nella casa e renderli essenziali; così non si stupiva se mentre giocava a carte faceva attenzione anche ai cinque e ai fanti perché quella sua parsimonia da economa amministratrice della casa veniva applicata a tutto quello che faceva.
Il tavolo è rimasto vuoto, Ada titubante gioca un cavallo di coppe.
Domenico appoggia il mento sul palmo della mano, il gomito pesa sul tavolo e sostiene quella struttura architettonica, la sua posa per pensare. Ada aspetta paziente la prossima mossa, lascia cadere gli occhi sulla barba bianca di suo marito: a tratti tende al grigio, nota che quei toni brizzolati gli conferiscono una certa parvenza di saggezza mentre è fermo a riflettere. Per la prima volta dopo un decennio di silenzi vorrebbe sapere quali sono i suoi pensieri, si interroga su cosa abbia provato in questi anni muti, se abbia dei rimorsi. Si chiede quali domande si sia fatto tra sè e sè o quali risposte gli abbia dato il mare.
Da quando loro figlio se n’era andato dal paesino di laguna in cui vivevano, avevano smesso di parlarsi. Lei gli rimproverava intimamente i suoi modi bruschi, convinta che fossero stati quelli ad averlo allontanato. Lui, dal canto suo, notava la timida freddezza di Ada che una parte di lui riteneva responsabile, forse quella madre era mancata di affetto. La verità era che avevano capito tardi che loro figlio non avrebbe fatto il pescatore, che non sarebbe mai stato uomo di mare. Sin da bambino non sapeva prendere in mano i granchi, non perchè temesse per le proprie dita sottili ma perché inconsapevolmente aveva coltivato un innato rispetto per le creature del mare. Crescendo aveva sentito il peso delle aspettative dei genitori, provavano a dipingergli la vita secondo le regole della loro tradizione, gli ripetevano che anche lui un giorno sarebbe stato capace di uscire in barca da solo, che avrebbe imparato a pescare e gli sorridevano, orgogliosi del destino che gli avevano disegnato. Ma a lui quel posto stava stretto, non ci vedeva poesia, e una domenica aveva annunciato che nella sua vita avrebbe viaggiato, avrebbe studiato e che sapeva essergli grato, ma che quella non era la sua natura.
Se ne era andato portandosi via le sue poche cose e aveva lasciato un vuoto profondo come la stiva di un peschereccio; Domenico aveva smesso di pescare e di comunicare, lei si era chiusa in se stessa e non preparava più il pranzo per tre. Avevano sciolto le redini delle loro aspettative, le stesse che li tenevano uniti, e non si erano più parlati.
Vedevano l’uno nell’altro il fallimento di quello che avevano provato a costruire e ognuno intimamente si chiedeva chi dei due ne avesse davvero la colpa. Tra le stanze di quella casa si vedevano già dimenticati, dentro ai confini ristretti del loro piccolo mondo avevano smarrito il loro scopo. Avevano tenuto in piedi quel poco che bastava alla tranquillità per convincerla a rimanere tra le loro mura. E avevano lasciato passare gli anni, stagione dopo stagione.
Domenico ricompone la sua postura. Sceglie una delle tre carte che ha in mano e la posa vicino a quella di Ada. Sul tavolo due figure distese, aspettano l’una accanto all’altra il manifestarsi del loro destino.
Non si capiscono, non si parlano più quei due ma quella partita a carte, la domenica dopo pranzo era diventata ormai da anni il loro modo di comunicare. Sapevano creare, con il gioco della scopa, un linguaggio tutto loro. Li teneva uniti la solidità di quell’abitudine in cui erano entrambi disposti a fare un tentativo, provavano a capirsi per prevedere l’uno le mosse dell’altro e per veder rappresentata, ancora una volta ogni fine settimana, la profondità della loro conoscenza. Per tutta la durata della partita mettevano da parte l’inerzia di quegli anni e, pur fingendosi avversari, si alleavano, complici contro la solitudine. Lei prevedeva la fretta di lui nell’ accaparrarsi i punti più importanti e lui sapeva aspettare con pazienza le mosse premurose di lei. Così, mescolare le carte e distribuirne tre ciascuno per iniziare la partita, era diventato il loro modo per dirsi “La voce della vita in me non può raggiungere l’orecchio della vita in te; parliamoci, tuttavia: per non sentirci soli”.