Michelangelo Suma 2021
LAGUNANDO 2021 > selezionati 2021

Nato a Venezia ma legato sentimentalmente alla Romagna, ha cominciato fin da piccolo a scrivere poesie e racconti.
E’ stato tra i premiati al Concorso promosso dalla Scuola San Teodoro con un tema su “Venezia vista dai ragazzi” anno 2016.
Attualmente si occupa di giornalismo sportivo pubblicando su “Il Punto Quotidiano - Albo Scuole”.
Frequenta la 2^ Liceo Classico Europeo “Marco Foscarini”.
Qualcosa che profuma di Moderno
Sono sempre stato qui, vicino a Piazza di Spagna, fino all’anno della mia totale demolizione. Si chiedono ancora oggi quale fosse il motivo; arduo rispondere a questa domanda, ma se non lo facessi, la mia vicenda verrebbe dimenticata nell’oblio. Essendo un obelisco, venni costruito e edificato durante l’epoca romana. Da quando il Papa regnò su Roma, tanti furono i tentativi di denunciare le violenze, la corruzione e la lussuria che affliggeva lo Stato Pontificio. Questi galantuomini dal coraggio leonino, attaccavano i loro documenti di protesta su di me; io ero il loro portavoce. Da simbolo del fiorente Impero Romano, divenni un pericolo pubblico per il clero. Ma non fui l’unico a cadere in quel maledetto 1826. Insieme al mio, un altro racconto è degno di memoria ed è giusto che io lo narri. Questa storia parla di due uomini, due carbonari, che come i loro antenati lottarono ardentemente per la libertà. Si chiamavano Dario e Massimiliano; il primo era nel mezzo della sua vita, quindi non si poteva considerare un giovinetto: aveva una barba folta, i baffi e riportava una profonda cicatrice in viso, dovuta ad un combattimento nella battaglia di Leizpig. Lui, come altri italiani, si sentiva vicino agli ideali napoleonici, che lo spinsero ad affrontare la Sesta coalizione. Massimiliano invece era un ragazzo ancora molto giovane: di bell’aspetto, elegante e dall’aria baldanzosa. Entrambi mi venivano spesso a trovare, lasciandomi delle simpatiche lettere, che naturalmente erano notate dalle più alte cariche del clero. Una in particolare, molto nota da quelle parti, era la figura del Cardinal Vicario. Era una persona tranquilla e riservata, ma profondamente conservatrice e bigotta: non sopportava le nuove correnti che stavano influenzando l’Europa, ma allo stesso tempo affermava che preoccuparsi di queste questioni, significasse fare il giro delle sette chiese. Un giorno l’eminente prelato, camminando per Roma, trovò su di me l’ennesima frase stuzzicante, che recitava testuali parole:
“Nonostante la vostra dedizione per il bel vestire e per il bel parlare, la vostra chiesa profuma ancora d’arcaico!”
Stavolta per il cardinale era davvero troppo e, appena tornato nella sua dimora, pensò in un primo momento di far arrestare tutti i membri della carboneria. Dopo aver consumato il suo pasto serale, si fece svestire e si avviò a letto per godere del dolce riposo; prima di soffiare sulla candela, pensò nella sua colta mente:
“Conosco la mia gente e so che avrebbe bisogno di un bello spettacolo, in modo da alleviare le loro preoccupazioni, ma se li giustiziassi, verrei considerato un tiranno. Devo prima utilizzare un pretesto e trovare un capro espiatorio, poiché è meglio condannare degli innocenti invece di lasciare in vita il colpevole.”
E così decise di irrompere nella sede della carboneria, con l’accusa di omicidio a duello. I carbonari, impauriti dalla sua presenza, diedero la colpa a Dario e Massimiliano, i quali vennero subito arrestati. Condotti in tribunale, i due innocenti si apprestarono a ricevere i capi d’accusa. Nessuno giunse in loro difesa. Appena l’eminenza iniziò a leggere i capi d’accusa venne interrotto da Dario che replicò: “Quindi voi ci state accusando di essere dei banditi?”
“Molto peggio figliuolo”: replicò il cardinale: “Almeno I banditi sono giustificati nel fare quello che fanno, voi invece avete tutto, eppure non vi va mai bene niente e per di più avete la briga di interrompere una sentenza.”
Massimiliano prese parola: “E voi la chiamate sentenza, sembra più una presa per il bavero”
“Come vi permettete, ricordatevi che io ho il potere di farvi uccidere o di rilasciarvi”: disse il prelato
Dario replicò: Quale potere avreste, se non vi fosse dato da chi vi sta sopra?
Il cardinale, irritato da quella affermazione, non rispose e si limitò a leggere la sentenza:” Gli imputati Dario Sensini e Massimiliano Finardi, per aver cospirato contro lo Stato e per omicidio volontario, vengono condannati a morte tramite la ghigliottina”.
Il giorno dopo i due carbonari vennero portati direttamente al patibolo, accompagnati da una folla furente. Massimiliano, prima di morire, augurò salute e fraternità al compagno. Dopo la sua morte a Dario spuntò fuori il sorriso. Mastro Titta, noto carnefice dello Stato Pontificio, chiese al condannato cosa avesse da ridere. Egli rispose: “Caro Mastro Titta, dopo la rivoluzione francese I sovrani tornati da Vienna dimenticarono tutto quello che avvenne dopo la Bastiglia e annullarono le innovazioni, le scoperte, la scienza, tranne la ghigliottina, che è l’unica cosa che non puzza di vecchio”.
Poi aggiunse: “Voi siete l’uomo più moderno di Roma, l’avvenire è vostro”.
Insieme alla sua testa, cadde la mia immensa figura. Infatti, per nascondere tutte le tracce della carboneria, il Cardinal Vicario impose la mia demolizione. Ancora una volta, la Chiesa dovette mettere mano al portafoglio, visto la mia imponente sommità. Servì quindi una grande quantità di manodopera per porre fine alla mia esistenza. Il giorno dopo il Cardinal Vicario venne convocato in udienza dal Papa Leone XII. Il Papa si rivolse dicendo:
“Le nostre tradizioni e la nostra organizzazione rischiano di scomparire per sempre, poiché i nuovi ideali si stanno diffondendo in tutta Europa. Nemmeno il tuo atto potrà fermare tutto quello che sta accadendo.”
L’eminenza disse: “Io volevo solo liberarmi di questa faccenda per poi tornarmene nel mio mondo fatto di lusso e di imperturbabilità, ma riconosco che non basterà il mio sforzo per depennare i nostri nemici”.
“La mia salute è sempre più cagionevole e dovrò lasciare il soglio, ma l’unico mio conforto sarà non vedere la soddisfazione de li rivoluzionari nel prendere il controllo di Roma”: Affermò il papa prima di tornare nella sua Domus.
Alla fine il pontefice contemplò quello che sarebbe successo negli anni a venire. Infatti la mia distruzione non fu un atto di forza, ma di debolezza da parte del clero, che non seppe più reagire, neanche quando nell’anno domini 1870 le truppe sabaude varcarono la breccia di Porta Pia. In quel momento la mia demolizione venne vendicata e il Tevere tornò a scorrere in una nazione libera e fiorente.