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Concorso Letterario Internazionale di Poesia e Narrativa inedita
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Lucia Lo Bianco
Lagunando 2025 > AUTORI 2025 > Poesia 2025
Note:
   Nata a Palermo il 27/05/1965, città   dove ha compiuto i suoi studi fino alla laurea in Lingue e Letterature   Straniere Moderne con specializzazione in inglese. Dal 1993 insegna lingua e   letteratura inglese al liceo e dal 2002 al 2007 ricopre pure la cattedra di   Lingua e traduzione Inglese presso L’Università di Palermo. Nel 2009 consegue   presso la Leeds Metropolitan University un Master of Arts in Professional   Development for Language Education. Nel 2020 diviene Co-Fondatrice di WikiPoesia, Accademica del Convivio   e Accademica di Sicilia.  La vera fonte di ispirazione di Lucia Lo   Bianco sono i rapporti umani, l’impegno quotidiano a valorizzare gli   incontri, il valore delle piccole cose, la corsa, i rapporti familiari, le   difficoltà del vivere, il tempo e il viaggio come metafora e simbolo   dell’esistenza.

      
La sua scrittura ha ultimamente assunto una nota più specificamente sociale, trattando temi quali l’immigrazione e la violenza sulle donne. Recentemente ha scritto sulla guerra e le sue conseguenze e molti suoi testi sono stati premiati e considerati come una potente metafora sulla guerra. Il 9 novembre 2021 ha ricevuto il Nastrino di Merito per aver raggiunto la prima posizione nella Classifica di WikiPoesia. Il 27 maggio 2023 riceve a Imola (BO) il suo Primo Premio alla Carriera.
Riconoscimenti di WikiPoesia
Il 9 novembre 2021 riceve il Nastrino di Merito per aver raggiunto la prima posizione nella Classifica di WikiPoesia.
Ha pubblicato sette sillogi di poesie, diverse antologie, una raccolta di racconti ed un romanzo:
·         “Le Ali ai Piedi” (2013);
·         “Un lungo viaggio” nella raccolta: Parole in Fuga – Poeti del Nuovo millennio a Confronto (2014);
·          “Il Faro” (2015);
·         “Il Silenzio del Tempo” (2017);
·         “Sono una Barca” (2021), Carta e penna ed. Torino;
·         “Come una Libellula” (2021) Montedit Ed. Melegnano (MI);
·         “E plana stanca sulla riva” (2022), Helicon, Arezzo;
·         “Sono Occhi Scomparsi dentro il buio” (2023), Kanaga Ed., Arcore (MI);
·         “Canto della terra” (2024), Daimon Ed., L’Aquila;
·         “Le donne lo dicono (2021), Swanbook Ed.;
·         “Dove gli angeli camminano di notte” (2022), Swanbook Ed;
·         “Stelle ribelli” (2024), VJ Ed., Milano.

E' salita sul podio di oltre 400 premi letterari.
Ha già partecipato all'edizione:
2024
Puro cobalto il cielo



Di Torino mi dicevano meraviglie. Ecco perché ho finito per incunearmi qui, in quest'angolo di mondo dove l'aria profuma di dolce e amaro al tempo stesso. Che poi la mia vita di dolce ha ben poco. Le mattine sanno di fogli sgualciti quando mi sveglio. Sì. Mi sento proprio così quando sollevo la coperta a scacchi che fodera il mio lettino all'angolo. Pure le lenzuola hanno smesso d'essere bianche e ormai si tingono di grigio o forse è il colore del cielo che si riflette sul piccolo giaciglio improvvisato sotto i portici della stazione.
Perché, vedete, è proprio lì che vivo. Il mio letto è tra l'hotel e il negozio dell’indiano. Ci puoi trovare proprio tutto in quel negozio. Un vero e proprio bazar di chincaglierie d’ogni tipo. Tovagliette per la colazione, fiocchi, nastri, matita per gli occhi, calzini e collant. Di giorno ci vado per farmi un giro e rifarmi gli occhi. L’indiano mi conosce e a volte mi regala qualcosina. Come quel rossetto rosso ciliegia che mi piaceva tanto. Lo sfioravo e lo sognavo di notte. Allora lui me l’ha messo in mano. “Ti starà benissimo”, mi ha detto. Che brava persona l’indiano!
La mia valigia è posata alla testata del letto, accanto al cuscino. Di notte allungo le mani e la sfioro. Non sia mai me la rubano. Come farei poi senza le mie cose? È poca roba, in fondo, ma il mio mondo è lì. In quella scatola che ho trascinato dal paese 10 anni fa, in cerca di fortuna. Ho girato un po' a vuoto al principio ma l'unica porta aperta l'ho trovata qua.
Un giorno Veronica, con le sue vesti maleodoranti ed il rossetto marcato mi vede e mi invita nel suo “appartamento”. Sì, lei lo chiamava proprio così. Aveva sistemato un materasso e lì accanto una borsetta faceva bella mostra di cianfrusaglie strane e ingiallite mentre il nécessaire per il makeup gliel'avevano regalato le signore bene della città e lei lo teneva da parte come un tesoro d'inestimabile valore.
Veronica si alzava al mattino, si sistemava i capelli arruffati e incominciava a imbellettarsi il viso. Dopo tutto era importante mantenere la propria dignità. Guardandola, un giorno, avevo pensato che se fossi rimasta a Torino sarei diventata proprio come lei. Dovevo andar via e subito. Ma no! Che pensiero malsano! Torino era una città magica e ne avevano detto meraviglie.
Poi un giorno Veronica non si è svegliata più. Che freddo quel giorno. L'aria era tagliente e la copertina con cui si copriva si era ritirata con le gelate al mattino. Dall’angolo nascosto della strada il suo corpo mi era sembrato come un micio abbandonato e impaurito. Capelli arruffati e trucco disfatto della sera prima: Veronica la ricordo proprio così nelle notti fredde quando la luce tarda ad arrivare sotto i portici della stazione. Eppure al paese dicono che Torino è bella, una città magica.
E così il posto di Veronica, il suo “appartamento”, l’ho preso io. Ho subito tirato fuori le mie belle lenzuola coi ricami dalla valigia. Quelle che la mamma mi aveva regalato. Che bella figura che mi hanno fatto fare all’inizio. Si fermavano tutti e si divertivano a far scorrere la mano sui bei disegni bianchi del cuscino. Sono stata proprio felice al principio. Mi hanno aiutato tutti, proprio tutti. Yvonne, la polacca, mi ha spiegato come fare toilette e curare la mia persona. Ahmed, il senegalese, mi ha preso sotto la sua ala protettiva. Di certo a me non ha mai fatto i suoi scherzi, come far scoppiare i petardi tra le gambe. Quelli li riservava alle ragazze carine che arrivavano in stazione con le loro valigie enormi e finivano per passare dai portici, prima di raggiungere il loro albergo. Moussa era il più cattivo, invece. Mi ha piantato addosso il suo sguardo sospettoso sin dal principio. Proprio non lo sopportavo. Mi cambiavo la camicetta e lui lì, a sbirciare. Non lo faceva con Yvonne o le altre donne. Ancora adesso me lo ritrovo accanto quando raccolgo le monete lasciate dalla gente. Non mi piace per niente. Mi sento a disagio con lui vicino e se mi distraggo mette le mani tra le mie cose e rubacchia. Lo fa. Ne sono certa. Ma per fortuna che c’è Ahmed. Mi vuole bene, come Seydou.
Seydou è un pittore. Ogni mattina sistema il suo panchetto lì, al confine del porticato grande che fiancheggia la stazione. Sciorina la sua tela e guarda in alto verso il cielo, coi suoi colori freddi e intensi che ti schiacciano da dentro. Lui guarda su e scorge qualcosa. Lo so perché sorride, quasi sempre.
Gli ho chiesto un giorno: “Che hai visto oggi, Seydou?”, ma non mi ha risposto subito. È rimasto lì con il suo mezzo sorriso a sbirciare il grigio delle nuvole, quasi aspettasse che si diradassero per far spazio a un po’ di azzurro. L’azzurro, però, non è spuntato più e Seydou si è voltato e mi ha guardato alla fine. “Ho visto un passerotto che cercava di volare in alto, ma da solo non riusciva e così sono arrivate un po’ di ali per aiutarlo a sollevarsi.” Non ho capito di quali ali parlasse. Ancora oggi mi chiedo cosa volesse dire.
Poi un giorno mi ha fissato. “Ti va se ti faccio il ritratto?”, ma non gli avevo mai visto disegnare alcun ritratto. Mi è piaciuta l’idea. Tanto. Gli ho detto di sì. Solo non capivo dove dovessi mettermi. E soprattutto come. Ma Seydou è stato meno complicato di me e mi ha detto di restare lì dov’ero, accanto a lui. Semplice come bere un bicchier d’acqua. È cominciato così il più bel periodo della mia vita. Giornate fantastiche colorate di rosa. Almeno la mattina mi alzavo con uno scopo. Pettinavo i capelli e mi truccavo con cura. E poi mi sentivo importante. Una vera star. Mi ritrovavo a ricevere attenzioni che non avevo mai avuto. I passanti poi! Tutti concentrati a guardare. I loro occhi si spostavano da me al dipinto per ritornare su di me. E non finivano di commentare. “Sta venendo proprio bene!”. “Io ci metterei un po’ più di colore”. “Ma perché il cielo è così grigio?”, come se a Torino il cielo fosse di un altro colore! Seydou restava calmo ma a tratti dava segni di insofferenza lanciando sguardi di fuoco. Allora il critico di turno si zittiva e si allontanava, impaurito.
Il giorno che Seydou ha finito il mio ritratto abbiamo festeggiato. L’indiano ha comprato dei dolcetti e ci ha fatto entrare nel suo retrobottega. Che meraviglia. Non assaggiavo un dolcetto da così tanto tempo! Avevo dimenticato che sapore avesse lo zucchero tra i denti, quella soffice sensazione d’impalpabile leggerezza sulla lingua e sul palato. Per poche frazioni di secondo mi sono sentita come una vera signora. Con quel ritratto tra le mani e l’immagine di qualcuno che non sembravo neanche io. A guardarlo sembrava proprio un’altra persona. Non poteva essere la stessa persona, no. Poi tutti a complimentarsi, a dirmi come stavo bene coi capelli e con il rossetto sulle labbra. Sicuramente qualcuno mi avrebbe notato ora e, chissà, magari riuscivo pure ad andarmene da lì e non rischiare di fare la fine di Veronica. Dopo tutto di Torino si dicevano meraviglie. Una città magica.
Quel giorno mancava solo Moussa. Cattivo e invidioso com’era non si era unito ai festeggiamenti. Non è mancato a nessuno perché, vedete, la gente come me capisce subito con chi ha a che fare e cerca di proteggersi. Qualcuno però ha pensato di mettere da parte qualcosa da mangiare per lui. Di sera l’avrebbe sicuramente apprezzato e magari sarebbe stato più gentile, con le donne soprattutto.
Quando l’indiano ha chiuso il suo negozio mi sono spostata all’angolo, tra le mie cose. Proprio non ci riuscivo a staccare gli occhi dal mio bel ritratto. Poteva davvero rendermi famosa in fondo. Moussa mi è spuntato accanto all’improvviso. Ho sentito uno spintone e poi una stretta al collo. Di certo voleva rubarmi il ritratto. Provava sempre a rubarmi tutto. Ma stavolta dovevo impedirglielo. Le sue mani mi frugavano in ogni parte del mio corpo, ma dovevo salvare il ritratto. Sono riuscita a liberarmi. Mi sono alzata. Sono scappata via. Sono scivolata lì, al confine del porticato grande che fiancheggia la stazione. Moussa mi ha tirato per le caviglie. Ho visto che aveva un coltello. Ma il ritratto l’ho salvato. Sono caduta a faccia in giù, difendendolo con la pancia, giusto in tempo per alzare lo sguardo e volare in alto.
Puro cobalto il cielo.  
Ma il ritratto poi è servito? Sta lì, vicino la valigia posata alla testata del letto, accanto al cuscino. Di notte allungo le mani e lo sfioro. Non sia mai me lo rubano. Come farei dopo senza?

N.B. (Dedicato alla clocharde dal dolce sguardo che mi sorrideva ogni mattina. Proprio non riesco a staccarmela dal cuore)



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