Piero Falchetta
Lagunando 2025 > AUTORI 2025 > Narrativa 2025
Già bibliotecario presso la Biblioteca Marciana, Venezia.
Storico della cartografia, dei viaggi e della navigazione antica.
Traduttore
Ha già partecipato alla edizione:
TERZO CLASSIFICATO ROMANZI
Cronache dalla Città Anfibia
Presentazione
Il narratore inventa lungo un’unica traccia un’autobiografia che tale non è, prendendo spunto dai luoghi, dalle persone e dalle attività umane che incontra durante le sue abituali corse lungo il margine estremo della città, là dove non vi sono segni degli antichi e celebrati splendori di Venezia, la Città Anfibia, appunto. È una città tutta moderna, quella che viene raccontata nei suoi aspetti meno vistosi, e in questa modernità non interessata alle antiche glorie egli ambienta gli episodi che compongono la narrazione. Egli rievoca e insieme inventa, mescolando memoria e fantasia per poter far emergere al meglio i sentimenti e i pensieri propri e quelli dei personaggi che animano le sue storie, i genitori, i figli, le amanti, le spose. Il tempo del racconto è quello di un’unica giornata, mentre le vicende narrate vanno dall’inizio del secolo scorso fino ad arrivare ai giorni nostri. La città è molto spesso presente con un ruolo da protagonista in queste mille storie, che da lei prendono spunto per avventurarsi poi nel più profondo della coscienza del protagonista e degli altri attori da lui evocati. Questo romanzo-non romanzo, è senza dubbio un romanzo verità, ma è una verità che sfugge, e che tuttavia viene qui offerta al lettore affinché egli possa riviverla a proprio piacimento e farla propria nella misura del proprio intendimento.
CRONACHE DALLA CITTÀ ANFIBIA
PARTE PRIMA
Il margine
1. (Fumo, 1)
2. (Denti)
3. (Neve)
4. (Massaggi)
5. (Dorabella)
PARTE SECONDA
Al di là del muro
6. (Porto franco)
7. (Mater)
8. (Sesso?)
9. (Fumo, 2)
Post scriptum
PARTE PRIMA
Il margine
1. (Fumo, 1)
Il cardiofrequenzimetro che porto al polso segna 141 battiti al minuto mentre corro lungo l'argine del canale in una giornata grigia che poco invoglia all'aria aperta; sto attento a evitare le pozzanghere che si sono formate per la pioggia della notte scorsa, non voglio schizzarmi troppo, soprattutto le caviglie nude, una sensazione quanto mai sgradevole che mi manda un brivido su per la schiena sudata. 141 è una buona misura, considerata la mia età e il fatto che sto correndo già da mezz'ora avanti e indietro lungo questo tratto di canale che fiancheggia il porto dove attraccano le grandi navi cariche di quelli che una volta si chiamavano croceristi e che ora non sono altro che turisti intruppati in gita, imbarcati su questi giganteschi condomini galleggianti che li trasportano nella loro quasi generale indifferenza per un giro dell'oca di sei giorni sette notti da un porto all'altro del Mediterraneo. In teoria lo scopo sarebbe quello di visitare città, rovine, monumenti, in realtà la vera e taciutissima ragione per la quale coppie di ogni età e qualche single con la speranza di fare nuovi incontri si imbarcano su queste grandi navi è di potersi finalmente abbandonare al rito collettivo del puro consumare senza freni e inibizioni morali se non quelli imposti dalle disponibilità di palanche di ciascuno. Bevi il caffè, vai a colazione, mangia il salmone con le fragole, la marmellata di mango e carrubo, versa nel tè di rose dei Carpazi un cucchiaino scarso – non esageriamo – di zucchero di canna coltivata a mano da una comunità di campesinos uruguagi assegnatari dei campi sequestrati al boss locale della coca – terre strappate al crimine terre strafatte di crimine – taglia il pane croccante e spalmaci un ricciolo di burro da latte bio di mucche d'alta montagna, verso le undici un secondo caffè stavolta non arabica ma di una qualità rara degli altopiani d'Etiopia con un pasticcino a forma di cavalluccio marino con uno zuccherino azzurro a far da occhio, dal sapore di mandorla, e l'aperitivo, l'aperitivo con o senza ombrellino servito da un giovanotto che sorride con più denti di quanti tu ne abbia mai avuti a causa delle precoci estrazioni che hai subito in giovane età, e poi il pranzo senza limite di portate da potersi, volendo, trasformare in cena in un continuum spazio-temporale che soltanto gli addetti al riordino della sala potrebbero contrastare, il digestivo, il caffè ancora una volta, il tè delle cinque che poi nell'isola finalmente brexitata oramai si beve soprattutto caffè e ancora caffè, mattina e sera, in varie forme e modi fra i quali uno che si chiama “latte” e che si pronuncia all'incirca “latchei”, non essendo altro che un latte macchiato o, se si vuole, un caffellatte chiaro, quindi un nuovo aperitivo, stavolta più tosto, tipo un negroni o un gin-and-tonic o magari, assumendo una posa international che non si addice per niente all'esibito pantalone a pinocchietto con le infradito, un White Russian o un Parfait Amour di cui si è letto cinque minuti prima nel magazine che la compagnia distribuisce con sagacia in ogni cabina in tante copie quanti sono i posti letto, nel quale una coppia super fit semi sdraiata sulle chaises longues sorseggia nel tramonto dorato accanto alla piscina dalle acque blu cobalto più pure e cristalline di quelle del mare là sotto intorno alla scia candida di poppa e la bandiera sull'asta cromata che sventola pigra nell'ora che volge il desio, fino a che l'ora di cena annunciata da musiche e richiami che echeggiano fin dentro le viscere più recondite dello scafo e sventagliano i cinque ponti sovrapposti con voce ferma indicazioni non discutibili non viene accolta come una promessa di festa generale, uno sprofondamento collettivo nella soddisfazione orale per la quale si è pagato un biglietto forfettario da onorare consumando, inghiottendo, ingurgitando, masticando, triturando, succhiando, lappando, sorbendo, sgranocchiando tutto ciò che appare volando quasi sopra carrelloni cromati manovrati con perizia da inservienti d'ambo i sessi che indossano inappuntabili divise dai candidi colletti e da un accenno di sexy nelle scollature con il primo bottone come per caso sbottonato in maniera da proporre un vedo-non-vedo che potrà essere ravvivante per qualche coppia non del tutto sessualmente estinta e però arrugginita come una Fiat Duna sopravvissuta chissà come allo sfasciacarrozze. A lui brilla l'occhio guardando di sguincio la bionda ex cortina di ferro che offre così quasi con pudore la propria sfioritura bellezza, e rivolge poi uno sguardo d'intesa alla sua signora – così la presenta agli altri suoi compagni di navigazione, mentre di solito, sulla terraferma patria, lei è mi' moje – mentre lei prova un piccolo gongolamento interno ritenendo che quella malizia stillante dall'occhio del consorte sia dedicata a lei, dopo tutti 'sti anni ancora mi desidera, mentre la miccia che si è accesa non è attaccata a nessun ordigno cosicché dopo qualche scintilla disordinata e velleitaria finisce per spegnersi con un ultimo bzzz... La girandola delle pietanze che si avvicendano sembra non avere fine, l'appetito si è perduto già da un bel po' su quella via crucis alimentare da percorrere con stoica indifferenza ai richiami del fegato, del colesterolo o del reflusso gastro-esofageo per poter obbedire all'imperativo che dice “l'hai pagato e ti spetta tutto quanto”, di modo che succede come per i “Fagioli con tonno!” che Capannelle ordina nei Soliti ignoti dopo l'ammazzacaffè seguito alla magnata; il tutto avviene con un dispiegamento di stoviglie, piatti, piattini e bicchieri allineati con rigore militare sulla candida tovaglia accanto al tovagliolo ripiegato ad arte che sembra quasi la conchiglia dalla quale esce la Venere del Botticelli, sottopiatto, piatto piano, piatto fondo, scodellina, piattino per il pane, ciotolina per il burro, cucchiaio, forchetta a tre rebbi, forchettina per enucleare l'ostrica dal suo guscio precedentemente ripulito dalle sue scaglie, coltello piatto da pesce, coltello seghettato per costate grondanti sangue bovino che allaga il piatto di coloro, quasi sempre maschi, ai quali piace saignant se non addirittura bleu, tingendo così di rosa la patata bollita – o meglio, il pomme à la vapeur, poiché il menù stampato su carta pergamena dagli orli finto bruciati che campeggia sul tavolo non si fa certo mancare appena possibile un profluvio di termini francesi, forse in omaggio alla lingua un tempo praticata dai diplomatici di tutto il mondo e ora sopravvissuta soltanto nei menù di ristoranti pseudo-chic – sulla quale svetta, conficcato con perizia, un rametto di prezzemolo ricciolino proveniente fresco fresco dalla vasca idroponica, ultima innovazione delle sterminate cucine sottostanti che sferragliano e fumano come opifici fordiani; ...