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Concorso Letterario Internazionale di Poesia e Narrativa inedita
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Sabrina Tonin
Lagunando 2025 > AUTORI 2025 > Narrativa 2025
Visual designer, appassionata di letteratura, pittura e scultura, è Presidente dell'Associazione Culturale Sentieri di Parole Ets, presiede due Premi Letterari Internazionali. Ha pubblicato 8 romanzi.
Ha già partecipato a:
LA CRAVATTA DI CORDA


So da dove arriva quel pacchetto, o perlomeno lo immagino. Sta da una settimana sulla consolle accanto all’uscio e ancora non ho trovato il coraggio di aprirlo; ma quando mai ho avuto coraggio io? Mi sono sempre lasciato trascinare dal coraggio altrui, e ho sfogato la mia impotenza con la violenza, ma il coraggio, quello no, non l’ho mai posseduto. È amaro ammetterlo, ma è così.
Il postino ha bussato alla porta a lungo prima che io decidessi di alzarmi dalla poltrona, ero infastidito dal rumore assordante che producevano i suoi pugni sulle assi malandate del mio ingresso. Infine, mi sono deciso, altrimenti quell’idiota mi avrebbe sfasciato la porta.
“Monsieur Verlaine, c’è posta per lei da Marsiglia.”
Ho aperto, il postino reggeva una cordicella che legava un pacchetto malfatto di carta umida da macellaio. Sul pacchetto c’era scritto “Per Paul Verlaine che si crede poeta” e mancava l’indirizzo completo.
“C’è da pagare una multa di quaranta centesimi Monsieur Verlaine.”
“Quaranta centesimi? E perché mai?”
“Perché non è affrancato, manca il francobollo da cinque centesimi di franco, e la multa in questi casi è di quaranta.”
“Non ho nessuna intenzione di pagare, non conosco nessuno a Marsiglia e poi, chi dice che sia io il Paul Verlaine a cui è indirizzato?”
“Suvvia Mâitre, se anche non conoscete nessuno laggiù, tutti conoscono Verlaine il poeta.”
Un poeta lo ero un tempo, un poeta ispirato, ma da anni scrivo solo per guadagnarmi da vivere. L’ispirazione mi ha abbandonato tanti anni fa e so per colpa di chi, ma la musica del verso ancora mi accarezza. Non ho nient’altro.
Annette, la vecchia vicina di pianerottolo che viene a ramazzare il pavimento e a stirarmi qualche camicia mi ha intimato di aprire quel cartoccio maleodorante, in caso io non lo faccia, lo butterà via, oppure non verrà più.
A questo punto, coraggio o meno, devo aprirlo.
Quel che avevo supposto corrisponde a verità: quel pacchetto che puzza di assenzio viene da Arthur. Non sapevo che vivesse a Marsiglia, qualcuno anni fa mi ha riferito che era andato in Africa, forse in Etiopia.
Dentro al pacchetto non ci sono lettere, ma solo una cravatta imbevuta di assenzio ormai asciutta, una cravatta di corda grezza che si è tinta di verde, il verde della fata Absenthia.
Dovevo lasciare che Annette lo buttasse via, dannato pacchetto, dannato me, dannato Rimbe, ecco, ti ho chiamato Rimbe come ti chiamavo quando ti accoglievo tra le mie braccia, quando mi baciavi sul collo…

Poi ti sentirai sfiorare lieve la guancia…
un breve bacio, come un ragnetto folle, ti correrà sul collo…
(da Sognato per l’inverno)

Dannato diavolo biondo, sei tornato. Io non ti avrei aperto la porta, ma tu mi hai ingannato nuovamente, sei tornato a insinuarti nella mia vita per sconvolgerla ancora una volta, nascosto in un pacchetto postale.
Ah, se tu fossi qui! Ti strozzerei, ti pugnalerei al cuore come hai fatto con me, e poi ti piangerei. Non ho fatto altro che piangere e rimpiangerti in questi vent’anni.
Se tu mi avessi visto rotolare sul pavimento ubriaco di assenzio, di gin e di birra, vomitare tutto il mio dolore, se tu mi avessi udito urlare il tuo nome mentre cercavo sollievo al dolore con un altro dolore tagliandomi la pelle del ventre con il coltello che hai lasciato qui, tu mi avresti deriso e mi avresti lasciato solo a strisciare implorandoti di amarmi, almeno un poco.
Avresti dovuto avere pietà di me, ma di quale pietà può essere capace un essere maledetto come te?

Je suis un autre - Io è un’altro…(Arthur Rimbaud)

Lo hai detto tante volte, tra le tue allucinazioni, le tue visioni, con il tono di una confessione orgogliosa, e io avrei dovuto capire il tuo dualismo, tu, il satana adolescente con il volto di un angelo. Io non sono mai stato un genio come te e non ho mai compreso a fondo la filosofia teorica della tua poetica, la tua rivoluzione, il tuo distruggerti come metodo di ricerca di una verità impossibile da raggiungere. Hai giocato a essere Dio e hai fallito, hai ucciso la tua poesia e mentre io sono ancora Verlaine il Grande Poeta, tu non sei più nessuno.
Che ne hai fatto, Arthur, di quel sedicenne che mi scrisse nel lontano 1870 adulando i miei versi e chiedendo di incontrarmi? Mi mandasti poche righe intessute di lodi per la musicalità dei miei versi e aggiungesti una tua poesia.
Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna mi è atroce e ogni sole amaro:
L’acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Oh, la mia chiglia scoppi! Ch’io vada in fondo al mare! (Il battello ebbro)

Ne fui folgorato, i tuoi versi erano una ricerca audace, erano liberi e potenti, erano straordinari, qualcosa che non si era mai udito.
Al contrario di te, io scrivevo e scrivo ancora versi perfetti, con una musicalità della parola tutta nuova, portatrice di simboli e di echi.
Ti mandai i soldi per il treno e venni a La Gare de Lyon ad aspettarti, ma non ti riconobbi tra la moltitudine di passeggeri e pensai allo scherzo di uno stupido adolescente. Tornai a casa deluso, Mathilde era seduta in salotto e conversava con un giovane seduto di spalle.
Ti girasti e io fui folgorato, eri bello, più dell’arcangelo Gabriele, avevi i capelli lunghi, scarmigliati e biondi, schiudesti le labbra in un sorriso fanciullesco, i tuoi occhi chiari come l’acqua mi trafissero e io volli solo annegarmi in essi.  Anche allora mi ingannasti, non eri un angelo ma il diavolo venuto a carpire la mia anima.
Prima di invitarti a raggiungermi a Parigi mi ero informato su di te, sapevo che eri nato in Lorena, a Charleville, poco lontano da Metz, dove sono nato io, che tuo padre era un ufficiale dell’esercito e tua madre era figlia di proprietari terrieri, che frequentavi un liceo prestigioso e scrivevi poesie. A detta del tuo professore di retorica George Izambart eri un genio, possedevi un talento poetico fuori dal comune e inaspettato in un ragazzino così giovane, e aveva ragione.
Tuttavia, nonostante le tue origini facoltose, eri vestito quasi da straccione e portavi proprio questa cravatta di corda che ora mi mandi imbevuta d’assenzio.
Quale Arthur eri allora e quale altro sei oggi?
Mathilde ti detestava, ti chiamava topo ed aveva ragione, coltivavi i pidocchi tra i tuoi capelli e quando incontravi un prete li scuotevi perché volassero su di lui. Eri irriverente, blasfemo!
Eri incorreggibile, un rozzo adolescente, uno spirito libero che anelava all’infinito, privo dei limiti civili convenzionali, ma proprio per questo mi affascinavi!
A volte ho pensato di avere di fronte un vero demonio, e mentre portavi alla luce la parte peggiore di me stesso, scrivevi Merde à Dieu sulle panchine dove sedevano i borghesi inorriditi; e quando andavamo in biblioteca o lungo la Senna dei venditori di libri, tu li rubavi e quando ti scoprivano scappavi correndo all’impazzata, lasciandomi solo a scusarmi e a pagare il maltolto. Anche il tuo lato infantile che queste azioni rivelavano era denigratorio, distruttivo e con gioia io mi lasciavo distruggere.
Mathilde ti biasimava e minacciava di cacciarti, e cacciare anche me con te.
La detestavo per questo, l’avevo sposata per cercare di dare una regola alla mia vita, volevo cancellare in me il desiderio di amare altri uomini. Aspettava il nostro primo figlio e io speravo di essere riuscito a “guarire” dai miei insani desideri; invece, sei arrivato tu e io ti ho amato fin dal primo sguardo.
Ma tu no, potevi usare per il tuo piacere sia un uomo che una donna, ma non amavi, non hai amato nessuno, nemmeno te stesso. Ti bastava ribellarti contro l’ordine stabilito, divertirti, trasgredire, fuggire dal mondo visibile verso il sogno e le sensazioni impalpabili, e io ero solo un mezzo.
Avevo rinunciato all’alcol, ma tu mi hai trascinato di nuovo nell’oblio in cui precipitavo bevendo, nel delirio incosciente dell’assenzio che mi illudeva che ci fossi solo tu nel mio mondo. Ero arrivato a ubriacarmi con te in casa, cosa che non facevo mai per non esasperare Mathilde.
Così arrivò il maledetto giorno in cui mia moglie mi impose di scegliere: o lei o te.
Mi scagliai su di lei con inusitata violenza. Cadde a terra in una pozza di sangue e perse i sensi, perse anche nostro figlio. Ci cacciò e a noi non restò che fuggire, avevo fatto la mia scelta tra la normalità di una vita che in fondo non mi apparteneva e la trasgressione, avevo scelto te.
Fuggimmo felici come pazzi, salimmo su un treno e andammo a Bruxelles, ma non ci bastava, proseguimmo con un battello per Londra.
Fui raggiunto dalla notizia che Mathilde avrebbe chiesto l’annullamento del nostro matrimonio accusandomi di sodomia e sarebbe stata la mia fine: un’infamia che mi avrebbe escluso dalla società e da tutti i cenacoli letterari. Ero disperato e cercai di dissuaderla dal denunciarmi, la supplicai di aspettare, questa follia si sarebbe esaurita e sarei tornato.
Ma tu non mi hai dato alcuna possibilità, volevi dominarmi, e ci sei riuscito.
Ascoltavo affascinato i tuoi discorsi filosofici, ti vedevo mettere in pratica la tua teoria del dérèglement dei sensi, per fare di te stesso il Grande Vate, ma in fondo non ti ho mai compreso del tutto, eppure percepivo la tua grandezza e abbracciando con te le allucinazioni dell’assenzio, mi illudevo di essere una sola anima e un solo pensiero. Fluttuavano nuvole verdi nella stanza, si mescolavano i nostri versi e si scindevano subito dopo evaporando. L’assenzio e la droga erano diventati la nostra medicina per essere felici, credevo fossimo uniti, ero tuo, ma tu non sei mai stato del tutto mio.
Fummo felici davvero a Londra, una città molto meno “ingessata” di Parigi. Ci abbandonavamo ai nostri eccessi e alternavamo momenti di estasi a momenti di collera furiosa, arrivando spesso ai coltelli. Eravamo entrambi attratti l’uno dall’altro, tuttavia, ci respingevamo, o forse volevamo solo infliggerci reciprocamente una punizione per la nostra vita scellerata e il nostro amore depravato. Almeno così era per me, ma per te?
Hai mai avuto rimorsi o pentimenti?  Quando hai smesso di amarmi, se mai mi hai amato? Quando è stato che i tuoi occhi cerulei mi hanno visto vecchio e patetico? Io non me ne sono accorto, per me eri e sei ancora la visione impalpabile di un angelo.  
Forse fu esattamente il 3 luglio del 1873, quando tornai dal mercato di Invernass Street con un’aringa, mi prendesti in giro, dicendomi che i miei umori nel letto puzzavano come quell’aringa. Provai una profonda vergogna, ti schiaffeggiai il volto brandendo l’aringa, ti aggredii e ti minacciai: sarei tornato da mia moglie oppure mi sarei suicidato per porre fine al mio tormento.
Ridevi, e ti prendevi gioco di me, imitavi il mio piagnucolio, me ne andai sbattendo la porta, tornai a Bruxelles e comprai una pistola calibro 7, avrei voluto farla finita, ma mi mancava il coraggio. Già! Il coraggio che non ho mai avuto e che neanche quella volta mi ha aiutato a porre fine al mio delirio. Solo con la morte mi sarei liberato di te.
Ma tu non hai mollato la presa, hai impegnato i miei vestiti per comprarti un biglietto del battello e raggiungermi in albergo a Bruxelles.
Scoppiasti a ridere vedendomi impugnare la pistola, io avevo il sangue agli occhi e invece di puntare il revolver alla mia tempia ti ho sparato ferendoti a un polso.
Fui rinchiuso in carcere per due anni, ma non per averti sparato, ma perché tu che sei la mia maledizione mi hai accusato di sodomia. Ti hanno creduto, non potevano fare altrimenti, lo aveva fatto anche Mathilde e quando sono già due le persone che lo asseriscono, è facile pensare che sia la verità, anche in assenza di prove e poi, io ero già maturo e tu un adolescente dal volto angelico. Come non crederti?
Dopo soli due anni eri già stanco della nostra relazione squilibrata e ti sei liberato di me infangandomi e condannandomi al biasimo sociale. Con te accanto non me ne sarebbe importato nulla, ma senza di te mi sentivo abbandonato dal mondo, al tempo stesso vittima e carnefice della nostra perdizione.
In prigione ho ritrovato me stesso e la mia poesia. Nella nostra folle discesa all’inferno ho riconosciuto in te un grande poeta con una visione illuminante dell’espressione lirica, rivoluzionaria e liberatoria del verso, e avrei voluto staccarmi dalla musicalità del mio versificare, avrei voluto essere interprete della rivoluzione poetica che esprimevi, ma non era il mio mezzo espressivo. Avevo bisogno della tecnica che ormai governava i miei versi, anche se innovativi nella musicalità legata al simbolo.
Durante i nostri due anni insieme, sei sempre stato tu il genio della poesia, io ero come una bottiglia d’acqua dove si mette un po’ di seltz per renderla briosa, mentre tu eri uno champagne brut spumeggiante, dal sapore aspro e ricco di gusto e retrogusto. Eri inavvicinabile.
Ho letto e riletto ogni tuo verso illudendomi di comprenderti, pura illusione, solo tu hai coscienza di chi sei veramente e della forza potente della tua parola.
Sono tornato a Parigi, dopo la prigione, e ho ripreso il mio posto come poeta. Da anni scrivo poesie che mi permettono di guadagnarmi da vivere, mentre tu hai smesso di scrivere. Sei sopravvissuto alla tua stessa poesia, l’hai esclusa dalla tua nuova vita perché la tua ricerca è fallita o perché sei andato alla ricerca di un altro Je est un autre?
Quando sono uscito di prigione ti ho scritto implorandoti di incontrarmi, supplicandoti di riprendere la retta via come stavo cercando di fare io. Ti sei rifiutato di vedermi e mi hai scritto con disprezzo:

Qualche minuto con me e ti farò rinnegare Dio.

Hai avuto ragione, lontano da te, ho ripreso la mia vita, lontano dagli eccessi che mi avevano reso schiavo del vizio, mentre tu padrone del vizio, mi inducevi al peccato restando lucidamente folle, disprezzandomi, gioendo della mia degradazione.

Sono schiava dello Sposo infernale, quello che ha dannato le vergini folli. È proprio quel demonio. Non è uno spettro, non è un fantasma. Ma io che ho perso il senno, io che sono dannata e morta per il mondo. (Lo Sposo infernale da La Vergine folle)

Sono io quella vergine folle, io che ho perso il senno dominata del diavolo biondo.
Perché mi hai mandato la tua cravatta di corda? È un messaggio d’amore oppure è un tranello per finirmi?
Devo saperlo, questa volta trovo il coraggio e vengo a cercarti.
Devo vederti, voglio sprofondare nei tuoi occhi chiari un’ultima volta, perché ancora ti amo, o meglio, amo ancora quello che eri. Chi sei ora? Devo parlarti e questa volta caro Rimbe faremo i conti. Tu o l’altro, oppure io, uno dei tre deve morire per mettere fine a questo amore straziante.
Il mio editore mi ha anticipato i soldi del treno, al mio ritorno devo consegnargli una raccolta poetica da pubblicare per ripagarlo, scriverò lungo il viaggio.
Non so dove trovarti, scriverò a tua sorella, andrò al circolo letterario, sicuramente qualcuno saprà indicarmi dove abiti.

Marsiglia, settembre 1891

Ho appena saputo che non potrò più rivederti, che la tua esistenza terrena è giunta alla sua fine qualche settimana fa. Mi è stato detto che eri tornato dall’Africa a causa di un tumore a un ginocchio che laggiù non potevano curare, che sei stato operato, qui a Marsiglia, ma non è stato possibile salvarti la gamba che è stata amputata.  Il tuo stato di salute si è aggravato e in seguito a complicazioni te ne sei andato, a soli trentasette anni. Sono devastato e fatico a crederci. Non ho avuto molte notizie sui tuoi ultimi anni in nord Africa, dove hai commerciato con successo. Alcuni dicono che vendessi schiavi e armi, ma non ci sono prove che confermino queste voci, anche se potrebbero essere vere, conoscendo il tuo sprezzo per le convenzioni civili e il tuo egoismo. Ho anche saputo che la società geografica ha pubblicato un resoconto delle tue esplorazioni in territori finora ignorati e anche questo fa parte del tuo carattere continuamente alla ricerca del nuovo.  Tutto questo non importa più, mi sento scavato dentro dal vuoto che mi hai lasciato, con te se ne va una parte di me, che non ti ha mai dimenticato. Non ti dico addio, perché per me tu vivi ancora nella mia memoria e nei tuoi versi, che vivranno nei secoli, perché un talento come il tuo non può essere dimenticato e la tua fama, di cui non hai goduto in vita, illuminerà la Francia, sulla scia delle pubblicazioni delle tue opere curate dalla tua famiglia.
Ti vedrò risplendere e saprò che anche io ho reso possibile il tuo successo. Ne sarò felice.


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